Nella provincia americana l'orrore del grande fratello.
Recensione di Vernon God Little di DBC Pierre.

Chi ha visto "Bowling a Colombine" di Michael Moore ne sa qualcosa. La "normalità" di certa periferia americana è un covo esplosivo di tensioni irrazionali fomentate da un terrore mediatico che, sulla paura, costruisce il proprio impero economico e ideologico, esportandone in tutto il mondo la valenza simbolica tradotta in merce attraverso il capovolgimento dell'informazione in mezzo di controllo, di suggestione totale. Di paura. Vernon God Little, la strepitosa prova letteraria di Dbc Pierre edita ora in Italia da Stile Libero Einaudi, è il primo vero reperto letterario di una globalizzazione compiuta e satura di sé al punto da coincidere con il proprio opposto, un provincialismo che è più mondo del mondo. Una cittadina della più remota provincia americana diventa emblema del Mondo al suo stato terminale, e il Mondo ne è risucchiato per intero, specchio deformato dagli intrighi, dei rapporti di potere, delle ossessioni e dei desideri di una piccola realtà locale, dove gli odori di frittura si confondono a quelli dei gas dei camion a quelli delle mutandine delle ragazze alla loro rifrazione immaginifica da sit-com che dura quanto la storia dell' uomo e non vede fine oltre la propria oscena perpetuazione cronachistica e feticistica.
Vernon God Little è un ragazzo di quindici anni accusato di strage in una scuola. Esattamente come a Colombine. Questa volta però la narrazione dei fatti non giunge dai Media ma dallo stesso protagonista, che attraverso mille peripezie (Vernon God Little è il grande romanzo picaresco del dopo 11 settembre) fugge al Destino (con la maiuscola, come lui stesso continuamente lo evoca) e ne viene risucchiato, in un continuo movimento di adesione e sottrazione, nell'impossibilità esperita di essere individuo nel gioco di specchi delle televisioni che si parlano tra loro e in questo dirsi si fanno mondo e poi cronaca e poi storia, se qualcuno ne serba memoria. Lo scenario è quello degli ultimi lavori di Beckett. E' un nulla, quello che racconta DBC Pierre, gravido di prodotti tipici della globalizzazione, non-luoghi minimi e divoranti come le Nike che Vernon indossa e ne costituiscono il più forte simbolo all'interno, di una sintassi esistenziale dove il soggetto è una spaventosa, invisibile e soverchiante divinità dal Nome oscuro e che potremmo individuare in un'Anima del mondo mass-mediatica, un Grande Fratello prima dell'Olimpo, prima della Genesi.
Se Hemingway studiava jazz e cercava, nella prosa, di restituirne le coloriture, la modulazione del linguaggio di Vernon God Little ricalca l'ossessività della techno, ma nel connubio oggi inesorabile degli stili e delle tendenze. Un post-moderno dove il country s'incontra con la musica da discoteca e le hit commerciali degli Anni Ottanta Novanta ma viene poi divorato dalla sigla onnipresente del telegiornale e delle previsioni del tempo. Il lessico di Vernon God Little è poverissimo ma il linguaggio, attraverso un' espansione incontrollata di metafore (o forse meglio, in tutti i sensi: parabole) televisive e merceologiche è esuberante, fantasmagorico: un fuoco d'artificio d'immaginazione mutuata da cartoni animati e da telefilm, da una cultura che ha come proprio orizzonte unico e fortissimo le merci che si parlano, e attraverso le quali sfiorisce e rinasce per sempre l'Occidente.
"La letteratura è il nuovo che resta nuovo"?, diceva Ezra Pound ed è in questo senso che Vernon God Little nasce come un classico. La sua novità è necessaria come il mondo a cui aderisce, che è poi quello in cui viviamo e al quale nessuno può sottrarsi. DBC Pierre ce lo mostra, questo mondo, con il respiro dei grandi narratori americani mischiando Salinger a Landsdale, facendoci sorridere e poi piangere ma innanzitutto costringendoci a riflettere sulla mostruosa velocità del cambiamento che sotto i nostri occhi si racconta, ci racconta giorno per giorno, minuto dopo minuto.
C'è una morale e ce ne sono tante, in Vernon God Little. C'è un intero mercato di morali e in mezzo la vita, il tentativo di esserci di un ragazzino che ci a racconta i suoi sogni di plastica ma anche l'intensità disperata e struggente dei suoi sentimenti manipolati a priori, da sempre, in un'eternità che scintilla attraverso la metafisica nuova nuovissima del Grande Fratello asceso a nuovo statuto ontologico, unico, fortissimo. "Ma secondo te perché il mondo si rode il fegato? Perché la cuccagna ce l'abbiamo sotto il naso, solo che, porca puttana, restiamo sempre a mani vuote. E perché restiamo sempre a mani vuote? Perché così vuole il mercato delle promesse. Ma quale Dio e Dio. E' tutto opera degli esseri umani, animali che si sono inventati un essere esterno per fare a scaricabarile". "Apri gli occhi, cazzo! E' questa rete di bisogni che fa girare il mondo". "Dio ci ha fatto da papà finché non è giunta l'ora di metterci i calzoni lunghi, poi ha autorizzato l'uso del suo nome sulle banconote. ha detto che andava comprare le sigarette e ha fatto fagotto, cazzo". Vernon God Little è un romanzo bellissimo.

Aldo Nove
tuttolibri/la Stampa 30.11.2002


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