Nella provincia americana l'orrore del grande fratello.
Vernon God Little è un ragazzo di quindici anni accusato di strage in una scuola. Esattamente come a Colombine. Questa volta però la narrazione dei fatti non giunge dai Media ma dallo stesso protagonista, che attraverso mille peripezie (Vernon God Little è il grande romanzo picaresco del dopo 11 settembre) fugge al Destino (con la maiuscola, come lui stesso continuamente lo evoca) e ne viene risucchiato, in un continuo movimento di adesione e sottrazione, nell'impossibilità esperita di essere individuo nel gioco di specchi delle televisioni che si parlano tra loro e in questo dirsi si fanno mondo e poi cronaca e poi storia, se qualcuno ne serba memoria. Lo scenario è quello degli ultimi lavori di Beckett. E' un nulla, quello che racconta DBC Pierre, gravido di prodotti tipici della globalizzazione, non-luoghi minimi e divoranti come le Nike che Vernon indossa e ne costituiscono il più forte simbolo all'interno, di una sintassi esistenziale dove il soggetto è una spaventosa, invisibile e soverchiante divinità dal Nome oscuro e che potremmo individuare in un'Anima del mondo mass-mediatica, un Grande Fratello prima dell'Olimpo, prima della Genesi. Se Hemingway studiava jazz e cercava, nella prosa, di restituirne le coloriture, la modulazione del linguaggio di Vernon God Little ricalca l'ossessività della techno, ma nel connubio oggi inesorabile degli stili e delle tendenze. Un post-moderno dove il country s'incontra con la musica da discoteca e le hit commerciali degli Anni Ottanta Novanta ma viene poi divorato dalla sigla onnipresente del telegiornale e delle previsioni del tempo. Il lessico di Vernon God Little è poverissimo ma il linguaggio, attraverso un' espansione incontrollata di metafore (o forse meglio, in tutti i sensi: parabole) televisive e merceologiche è esuberante, fantasmagorico: un fuoco d'artificio d'immaginazione mutuata da cartoni animati e da telefilm, da una cultura che ha come proprio orizzonte unico e fortissimo le merci che si parlano, e attraverso le quali sfiorisce e rinasce per sempre l'Occidente. "La letteratura è il nuovo che resta nuovo"?, diceva Ezra Pound ed è in questo senso che Vernon God Little nasce come un classico. La sua novità è necessaria come il mondo a cui aderisce, che è poi quello in cui viviamo e al quale nessuno può sottrarsi. DBC Pierre ce lo mostra, questo mondo, con il respiro dei grandi narratori americani mischiando Salinger a Landsdale, facendoci sorridere e poi piangere ma innanzitutto costringendoci a riflettere sulla mostruosa velocità del cambiamento che sotto i nostri occhi si racconta, ci racconta giorno per giorno, minuto dopo minuto. C'è una morale e ce ne sono tante, in Vernon God Little. C'è un intero mercato di morali e in mezzo la vita, il tentativo di esserci di un ragazzino che ci a racconta i suoi sogni di plastica ma anche l'intensità disperata e struggente dei suoi sentimenti manipolati a priori, da sempre, in un'eternità che scintilla attraverso la metafisica nuova nuovissima del Grande Fratello asceso a nuovo statuto ontologico, unico, fortissimo. "Ma secondo te perché il mondo si rode il fegato? Perché la cuccagna ce l'abbiamo sotto il naso, solo che, porca puttana, restiamo sempre a mani vuote. E perché restiamo sempre a mani vuote? Perché così vuole il mercato delle promesse. Ma quale Dio e Dio. E' tutto opera degli esseri umani, animali che si sono inventati un essere esterno per fare a scaricabarile". "Apri gli occhi, cazzo! E' questa rete di bisogni che fa girare il mondo". "Dio ci ha fatto da papà finché non è giunta l'ora di metterci i calzoni lunghi, poi ha autorizzato l'uso del suo nome sulle banconote. ha detto che andava comprare le sigarette e ha fatto fagotto, cazzo". Vernon God Little è un romanzo bellissimo.
Aldo Nove |