Visioni/Fame chimica ,

Partiamo da un'idea di città. la più comune, la più popolare. Quella che nell'immaginario collettivo stravince. È una città strana. Sembra un sogno, o meglio, un incubo. Ha una luce azzurrina, a tratti si disconnette. È una città dove il Centro non esiste.
C'è solo periferia. Sempre più periferia. Ma il Centro Che Non Esiste è fortissimo e tutti quanti vorrebbero abitarci.
Tutti sono altrove e vorrebbero stare in questo Centro, che non c'è ma si vede in televisione, è come una religione che appare e persiste sui muri, nei manifesti, nei discorsi della gente, si diffonde via Sms. È un Centro (immaginario) dove tutti hanno le macchinone, e nelle macchinone ci sono le fotomodelle. Le macchinone sfrecciano sopra strade bellissime, le fotomodelle guardano le strade, e oltre le strade ci sono case dove abitano persone che non pensano a nulla, si riposano salutando oltre le finestre le fotomodelle che, parcheggiata la macchinona, saliranno in casa loro. Dal centro alla periferia c'è un infinità di spazio.
Quello spazio, è la realtà. La realtà italiana è una progressiva distanza da questo Centro immaginario. E la distanza è quello che fa la differenza. Più ci si allontana dal Centro Che Non Esiste, più il suo sogno si fa forte, più la sua religione diventa maniacale, e crea mostri. Più l'architettura, il paesaggio urbano ne dismettono le reliquie, i fasti, più aumenta il desiderio di appartenerci.
Prendiamo Milano, prendiamo il quartiere della Barona, periferia della periferia della metropoli. Le case si fanno strette le une sulle altre, fanno la coda fuori dal Centro Che Non Esiste. Sono case «popolari», segnate da una fretta d'appartenenza, dalla voglia di gravitare attorno al sogno. Un sogno sempre uguale, nei decenni, e che si tramanda da generazione in generazione. Attraverso gli anni Ci secoli), la gente arriva lì e si parcheggia sognando di essere vicina al centro Che Non Esiste.
E quello che c'è invece è brutto e dà fastidio.
Un film come Fame Chimica dipinge con precisione la realtà di una grande periferia italiana oggi. Ti fa vedere come si sgretolano i sogni resistenti di un mondo di plastica, che si autoproclama bellissimo e lontano. La periferia esiste come estrema testimonianza di fede in quel mondo falsificato tutto, è fatto di persone che vivono nella speranza di entrarci. Ed è fatto allo stesso tempo di individui che cercano semplicemente di sopravvivere. Prima gli immigrati dal Sud, dalle zone povere d'Italia (il Veneto, ad esempio, che nel dopoguerra era “il meridione d'Italia”), poi gli immigrati africani, mescolati agli immigrati di seconda e terza generazione.
La periferia crede in se stessa.
Si difende come baluardo di valori. È quel non mondo (in realtà predominante) fatto di quelli che non ce l'hanno proprio fatta, ma ancora sono vivi, ancora ce la potranno fare se. In questo “se" interrotto, sospeso nell'urgenza del quotidiano, la periferia consuma i suoi sogni, e cioè la sua vita. Quando tutti sognano le stesse cose, ci si guarda in cagnesco. “Ma come, tu vai con il sogno mio? Tu sogni di diventare ricco come me? Non puoi farlo. Non possiamo diventare tutti ricchi”. n fatto è che alla fine non diventa ricco nessuno mentre la periferia cresce a dismisura. È una specie di auditel impazzito, fatto di corpi e di storie. Si allarga guardando. È l'altra faccia dello schermo, quella che guarda e che nessuno vede. Fame Chimica, invece, ce la fa vedere.
Ci fa vedere cosa sono il lavoro e il sogno del lavoro in una periferia italiana. Ci mostra l'utopia di essere remunerati regolarmente per una prestazione lavorativa umana e dignitosa e la sua distorsione sempre più estesa in situazioni da precariato estremo. Sospesa ad un filo, un filo di speranza ottusa, la periferia sogna di lavorare come qualcuno gli aveva detto che si lavorava, nei sogni. Fuori dai sogni invece c'è la realtà. Ci sono sindacalisti che fanno il gioco dei padroni, che nel frattempo sono spariti (abitano nel Centro Che Non Esiste, assieme alle fotomodelle). Ci sono persone intercambiabili, che come nei fenomeni di condensazione descritti nell'analisi dei sogni di Freud sono ombre, masse di ombre, sostituibili. E ci sono concretissimi camion da scaricare quando “l'orario” di lavoro (l'orario?) è finito, ed è allora che il bravo lavoratore di oggi (quello cioè per forza di cose disposto a tutto) può dimostrare di essere meglio degli altri, lavorando per tre, perché questo è il lato povero, straniato, disperato, della meritocrazia che la televisione proclama, lungimirante e cieca allo stesso tempo, apposta.
Oppure. C'è chi alla logica del lavoro (del lavoro da terzo mondo a Milano che Fame Chimica ci mostra) prova a sottrarsi. Droga e discoteca. In discoteca ci si droga, ci si droga per andare in discoteca. Una scorciatoia per il Centro Che Non Esiste. Quando tutti ci si trasforma in modelle e modelli, immenso coatto club privé salatissimo a livello di neuroni e a tasso bassissimo di realtà. Ecco allora il mondo degli spacciatori, per necessità o aspirazione sociale, per reazione o adattamento (a volte, fa lo stesso), sprovveduti venditori di sogni terminali ma prossimi, anche se per distorsione ottica, al Centro.
E poi, e ancora. Il razzismo. Nuovo e vecchio. La voglia di liberarsi dei propri sogni guasti trovando chi li ha fatti scadere: i diversi, gli altri che rovinano tutto, gli etichettabili. Prima i “terroni”, poi “i negri”. C'è sempre qualcuno che è responsabile della distruzione dei sogni quando i sogni non funzionano e sono in troppi a farli e senza risultati. Nel film, è un recinto (un muro dei poveri) il sogno ultimo, distorto, che separa i separati, che inventa, dopo gli ultimi, gli ultimissimi da emarginare.
E comunque. L'amore. Quello che dappertutto. Quello che fa svanire i sogni diventando troppo presto famiglia e quello che li prolunga in un sorriso incontrato quasi per caso, e che ti spalanca un mondo dove mondi non ce ne sono più. Quello che invecchia troppo presto e quello che non nasce mai.
Fame Chimica è un film bellissimo.

Aldo Nove
su "Musica" supplemento di Repubblica del 29 aprile 2004, p. 26/27.


- torna alla casapagina di Aldo Nove -