Coprofania dell'impero

da "Bassa Fedeltà - L'arte nell'epoca della riproduzione tecnica totale"
fascicolo-rivista curato da Tommaso Ottonieri per Bollati Boringhieri pubblicato nel novembre 2000.



L'impero della merce Mi ricordo che da bambino c'erano i supermercati. Poi sono cresciuto e anche i supermercati sono cresciuti, diventando mercatoni e ipermercati. Tommaso Labranca ha in più punti della sua opera notato come l'idea di Ipermercato vada essa stessa progressivamente espandendosi dentro le sempre nuove diramazioni di un immaginario merceologico che parte dalla merce e alla merce ritorna: Grossmarket, Hard discount e Ultramarket spuntano come funghi nell'immensa cattedrale brianzola del contemporaneo.
Elaborare da queste premesse un discorso sul cinema richiede l'abilità di districarsi tra film pannolini rasagnole libri anime e pesci spada impanati quel tanto che basta per cogliere in atto una teoria vitale, la teoria vitale dell'Impero della merce, lo stesso paradosso economico del biologico medium, l'immagine di tutto ciò che dal magazzino planetario dei desideri si clona sul corpo dell'utente e sul suo immaginario colonizzato da prezzi besciamella e tette grosse di Paola Barale.
Nel mondo del Grossmarket il cinema, come linguaggio specifico, è annullato e perpetuato, sepolto e resuscitato nella messa in scena di quello che Baudrillard già quindici anni fa definiva "il sogno della merce".
Pure sussiste fortissimo e totalizzante, nelle ceste in cui è venduto scontato, tra gli scaffali, nelle menti dei consumatori e nelle immagini mute della televisione a circuito chiuso.
L'occhio che non guarda dalla telecamera che resta puntata sugli scaffali di riso integrale e biscotti per cane, che regista centinaia di differenti movimenti di passaggio del prodotto dallo scaffale al carrello è il regista assoluto del Mercato. Quantifica la quiete della compravendita, ne distrugge la funzione di spettacolo perché quella telecamera è la non evasione per eccellenza. Nessuno si prende il compito di guardare (di gioire nel guardare) chi ininterrottamente viene guardato.
Il film dell'Impero scorre ininterrotto altrove, ha una sua retorica fredda, procede per accumulazioni di coazioni a ripetere, contempla un paradiso che il furto legittima. L'epifania del furto e quindi l'infrazione delle leggi del cinema da parte degli utenti segnano sempre la verifica interiore della propria ineffabile potenza.
L'idea tradizionale di cinematografia ha qui un suo feticcio in scatola, del tutto allineato alla logica degli altri prodotti. Dalla videocassetta del successo "svenduto" perché apparso in edicola a prezzo minore fino alla serie di film appena apparsa sul mercato il settore "video" dell'Ipermercato mima una sua referenzialità specifica, rivendica una propria autonomia rispetto al tonno e alla crema per il viso.
La rivincita dell'Impero della merce nasce all'interno dei contenitori delle videocassette in offerta. La logica del "tre per due" e del megasconto sottraggono al film la sua residua specificità culturale per fissarne meglio l'attrattiva in quanto merce. Una videocassetta che costa tremila lire è nella logica dell'Ipermercato interessante a prescindere dal suo contenuto.
Nel video Noi e l'amore, film in vendita a "sole 16000 lire" nelle ceste delle offerte speciali di alcuni centri commerciali lombardi, il momento clou è la ripresa della castrazione di un transessuale.
L'ambientazione è asettica. Una sala operatoria si intravede le rarissime volte che la telecamera si allontana dai genitali mutanti dello sconosciuto protagonista. Una voce fuori campo descrive l'intervento chirurgico.
L'aspetto esteriore della videocassetta farebbe pensare a una produzione minore, "erotica", di fine anni settanta. Un filmino per masturbazioni adolescenziali. Si tratta invece del viaggio terminale in una idea di cinema.
Prima dello scioccante epilogo, dinanzi agli occhi dello spettatore scorrono i filmati di diversi "lotti" di "perversioni sessuali", raggruppate in categorie e illustrate didascalicamente da un tetragono, sedicente "professore di sessuologia". Tutto appare oscuro e inevitabile. Un dio maggiore anima gli istinti: l'inconscio recepito e organizzato come un supermercato mette in vetrina il sesso, ne quantifica le qualità e il livello di freschezza, di immediata "commestibilità" sociale.
La mano del chirurgo che al termine del film Noi e l'amore taglia in due il cazzo di non si sa chi è il killeraggio preciso dell'utopia buñueliana dell'oltrepassamento della realtà mediante il cinema.
Da una parte l'occhio, metafora della visione, interrotto (tagliato) da un'altra, più profonda, consapevolezza.
Dall'altra il pene di Nessuno che viene aperto e tolto per far conoscere "il mondo dell'amore", aberrante e ricco di variazioni sul tema come lo scaffale degli yogurt a fianco di quello dei film.
Ho parato la luna è un altro tipico prodotto della cinematografia degli Ipermercati. In vendita a 3000 lire al centro commerciale Bonola di Milano Ho parato la luna è la storia new age del proletario Stefano Tacconi che da studente povero e indisciplinato di una scuola tecnica secondaria diviene portiere del Milan.
Neorealismo amatoriale e suggestioni ambient si fondono nel vuoto percussivo di un fine partita. Deliranti citazioni raccolte a casaccio (De Chirico e Rossellini) e miti incongrui si agitano dentro un canovaccio raffazzonato. Tacconi ha il sogno di diventare un grande portiere e ce la fa, diversamente dalla casalinga che continua a ritornare nello stesso supermercato Tacconi rompe il vetro e ne replica le dinamiche attraverso l'etica e l'estetica da cui era partita.
Quasi tutto il film si svolge in viaggio. Il treno che trasporta Tacconi da una parte all'altra dell'Italia, come il treno ossessivo del bianco e nero di Europa di Lars von Trier, è la metafora compiuta e circolare di una idea (quella, appunto, del viaggio) che qui sfiorisce nell'immaginario colorato nevrotico estremizzato ipercapitalista iperideologico nichilista e "normale" degli ipermercati.
Sempre al centro commerciale Bonola ho acquistato L'inquieta Moana, scontatissimo (8900) oggetto alieno da supermercato espanso. Moana Pozzi è una icona dell'immaginario erotico collettivo sacralizzata dalla morte. Nell'era multimediale l'interattività degli orgasmi tra vivi e morti ha nel cinema (e in Internet) il suo sito naturale. Ma.
L'inquieta Moana è un film porno di basso livello interamente censurato. Tutto vi appare incongruo. La supposta trama è devastata da bruschissimi tagli nelle molte scene in cui compaiono due persone (un uomo e una donna o due donne) che amoreggiano vestite fino a che una delle due si inginocchia davanti dall'altra. A questo punto cambia la scena.
Moana Pozzi è la tenutaria di un'agenzia di agenti segrete-fotomodelle pomo che apprendono il mestiere della persuasione erotica a fini spionistici. Il sesso, quello che era nel film, non c'è. Se il film porno è quasi sempre , una fiaba per adulti qui la fiaba è negata in nome dell'acquiescenza normalizzante con Totò, Bruce Lee e le altre videocassette svendute nelle ceste. Non c'è scissione. Cartoni animati, rapporti anali (idee forcluse dei rapporti anali), John Ford e cataloghi di Swatch coesistono indifferenziati nella caduta (materna, uniformizzante) dei prezzi dei video.
Esiste un desiderio che non ha più connotati erotici quando è l'ideologia della merce stessa che parla. La sua forma brucia nell'enunciazione. Come questo cinema da esodo cosmico, cataste di tonnellate di non più cinema che pure è stato pellicola e si assimila, ora, al tubetto di dentifricio.
Nell'introduzione al Capitale Marx sostiene che se la merce potesse parlare avrebbe molte cose da dirci. Oggi questo avviene nella più trita (mostruosa) "normalità". Il cinema dell'Impero che si dissolve è la dissoluzione del linguaggio umano nel linguaggio delle merci.


La merda dell'Impero L'Impero, sulla merda, ha sempre nicchiato. I pannolini sporchi di sangue o piscia o merda sono costantemente rappresentati, nelle pubblicità, come limpidi pannolini. Macchiati di blu. O di verde. Ogni idea di sessualità, di organicità è "pulita". Come la rappresentazione dell'agente (militaresco) che la "purifica" (dai brufoli, dalle mestruazioni, dal muco e dalla merda).
La storia della merda è stata per secoli la storia della liberazione dell'osceno, del basso e, in seno al sociale, come si sarebbe detto una volta, del proletariato.
Sul piano filosofico la merda vede le sue origini nel Rinascimento, nella "materia gioiosa" dei maghi e, subito dopo, nelle favole iniziatiche di Rabelais e Croce, nelle epopee popolari minori. La merda (il concime) è la camera mortuaria (la terra) dove nasce (fermenta), l'Uomo nuovo, l'androgino. Questo nel Cinquecento. Per Sade e per i suoi seguaci, Apollinaire su tutti, l'esibizione e l'assunzione delle feci sono la rivincita dell'Oscuro sull'ordine logico del mondo.
Dopo Freud e in fase di dissoluzione orgiastica dell'Impero la merda resta appena come residuo del pensiero inorganico, asociale, assoluto.
La merda non è quantificabile. Non ha (come la pietra filosofale) valore. Pasolini, in Salò, ne scrisse l'epitaffio storico.
Nell'Impero, la merda ritorna sotto forma di giocattolo deviante e marginale, per adulti ansiosi. La sua simbologia eversiva è compresa nel prezzo e quindi annullata con rassicurazione di chi compra e di chi guarda. Qualunque porno-shop e ogni videoteca specializzata hanno il loro scaffale di video coprofili.
La collana di videocassette pomo Sperrgebiet, della casa di produzione tedesca Gufa, ha avuto un grosso successo di pubblico. L'irrappresentabile vi trova una riduzione pacatamente utilitaristica, fruibile al prezzo accessibile di 50000 lire. In ogni episodio di Sperrgebiet e in molti analoghi prodotti (quasi sempre di produzione tedesca) un gruppo di persone, solitamente le stesse, si ritrova per dialogare del più e del meno, inframmezzando le lunghissime scene di nudo anodino, sospeso all'interno di spogli stanzoni, con reciproche, sbrigative evacuazioni in faccia.
In Sperrgebiet la merda viene mangiata con un senso di sacralità erotica traslato in un non so che di impiegatizio e di eticamente placido, da trattoria di piccola cittadina comasca. Da supermercato triste.
Tutto, ancora, è "normale". Impacchettato. Seriale. Sterilizzato.
Come per ogni tipo di pornografia, la coazione a ripetere (a comprare e riguardare) fa da solida piattaforma d'intersezione tra psicologico e commerciale, fluidifica e perpetua la relazione tra i due.
La merda del video porno coprofilo è la versione ipermercato della merda dei manicomi. Il manicomio (gli albanesi armati che piombano in Italia, il figlio che uccide i genitori per una marca di detersivo) lo sappiamo, è il lato umano e perfettamente visibile dell'Impero.
Che lo nega.

- torna alla casapagina di Aldo Nove -