Mery Laurent, distinta signora di metà Ottocento, restò scontenta
della lettura dei “Racconti e leggende dell’India antica” di Mary Summer, best
- seller del tempo. Le storie erano sì suggestive, capaci di evocare un mondo
lontano e misterioso, ma non scritte secondo il raffinato gusto della signora,
che ne parlò con un amico, poeta. Il poeta era Stéphane Mallarmé.
Questi, felicemente stimolato dall’occasione, riscrisse i racconti. Risultato
fu la perfetta fusione tra la ricerca linguistica e la varietà lessicale che
tanto caratterizza la più nota produzione poetica del più importante autore
del primo volume del “Parnaisse contemporain”.
Pubblicati postumi nel 1927, i “Racconti indiani” vengono ora proposti per la
prima volta in traduzione italiana, dall’editore Fazi. La cura del volume è
di Attilio Scarpellini: “Lo stilema mallarmeano - sottolinea il curatore nella
postfazione del volume - vi é perfettamente leggibile, a cominciare dal dispiego
di un colorismo futurista che, applicato all’India dei Veda, ne trae fuori suoni,
profumi, sfumature che non sfigurerebbero nella bacheca di “Des Esseintes”.
La forza evocativa delle metafore mallarmeane é evidente soprattutto nella descrizione
delle figure femminili, abbondantemente presenti nei “Racconti indiani”; nelle
labbra pallide della vecchia anacoreta che “seccavano al fuoco dei sospiri”
o nel viso di cui “la lampada riassume lo splendore, come una stella riassume
il firmamento”. Tutta l’opera é così pervasa da una vaghezza tipica del Mallarmé
poeta, posta innanzi però alle caratteristiche intrinseche del racconto, le
sue esigenze ritmiche. Tutto il libro si snoda attraverso l’evanescente succedersi
di luoghi arcani e misteriosi, abitati da personaggi irreali, quasi - fantasmi
di un oriente pennellato con un esasperato senso dell’esotismo e del magico.
Tutto é avvolto da un’oscurità che esalta i colori vivacissimi con cui l’Oriente
viene qui descritto.
Mallarmé morì a cinquantasei anni, nel 1898, e non volle mai pubblicare queste
pagine, ritenendole di scarso interesse oltre che per le motivazioni “private”
alla base della loro realizzazione.
Il poeta dell’ “Hérodiade” e del “Pomeriggio di un fauno” é pienamente riconoscibile
in ogni passaggio del testo. Riconoscibili sono le astrazioni e gli straniamenti
volti a rendere più impalpabili i confini tra sogno e realtà, come anche la
tensione verso l’immaginifico più evocativo, quasi ridotto alla pura cifra musicale.
I “Racconti indiani” sono quattro: “Il ritratto incantato”, “La falsa vecchia”,
“Il morto vivente” e “Nala e Damayanti”. Sono storie di principi e principesse
caduti in disgrazia, del modo in cui questi riescono a riappropriarsi, tra incredibili
inganni, riti misteriosi e fate crudeli, dell’originaria fortuna: fiabe dai
toni forti e cupi che Mallarmé restituisce alla sensibilità poetica del nostro
secolo attraverso la complessità della sua lingua poetica.
Aldo Nove
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