da La Grande Rivolta di Nanni Balestrini


Nel 1999 la Bompiani ha ripresentato come ciclo sotto il titolo unitario di "La Grande Rivolta", tre opere già edite di Balestrini: "Vogliamo tutto", "Gli invisibili" e "L'editore". Le tre opere come altre dell'autore sono leggibili a questo indirizzo http://nannibalestrini.arsed.it/biografia.htm
Questa edizione li consacra fra i classici del secolo appena terminato (con tanto di appendice con antologia della critica) ed è significativamente curata da Aldo Nove, uno fra i più attivi degli scrittori dell'ultima generazione - quella degli anni '90 - forse il più tipico di quella pattuglia che la critica ha chiamato, dal titolo di una antologia, Cannibali per la carica di violenza e gratuita demenzialità che usano nelle loro opere per disarticolare la realtà televisivo-sartoriale verso la quale esprimono un fastidio non minore di quello di Balestrini (certo, un po' diverso), e nella quale inglobano anche i miti letterari degli anni '80, con la loro infatuazione per il supremo criterio della leggibilità.

Intervista Nove-Balestrini

Incontro Nanni Balestrini al bar Giamaica dì Milano, dove negli anni '60 si ìncontravano, confrontando le loro esperienze, pittori, scrittori e intellettuali: "A quel tavolo", mi dice indìcandolo con il dito, "discutevo quasi ogni Giorno con Piero Manzoni, eravamo molto amici". Quello della "merda d'artista". Parliamo mentre la proprietaria litiga con uno dei camerieri. "E' il ritorno della lotta di classe", mi dice ancora, sorridendo. Nella sua voce ci sono l'entusiasmo di un ragazzino e la sapienza di un sessantenne che si confondono e parlano assieme. Di tutto, ma specialmente di storia. E Nanni Balestrini è stato forse il più puntuale interprete della storia italiana degli ultimi quarant'anni visti da prospettive molto diverse da quelle ufficiali. La sua storia personale è quella di un artista che, giovanissimo, ha vissuto in prima persona l'esperienza culturale più radicale del dopoguerra (il Gruppo 63) e che da allora non ha smesso di testimoniare, con tutti i mezzi possibili, il suo tempo. Quarant'anni di passioni, di sogni e disillusioni che Nanni Balestrini ha vissuto da dentro. Con l'amarezza di un esilio (nel 1979 Balestrini, in un processo che si risolse con un'assoluzione, fu costretto a fuggire in Francìa per evitare il carcere) ma anche con l'orgoglio di chi non sì è mai piegato a nessuna logica dei momento, in un Paese che dimentica facìlmente e con leggerezza.

Quando è nata la sua passione per la letteratura?
"Al liceo. Mio padre voleva che terminate le superiori, mi occupassi della sua industria. Per questo mi ha íscritto al liceo scientifico anche se in matematica prendevo sempre tre. Mi promuovevano perché avevo dei buoni vuoti nelle altre materie, specialmente in italiano. Ma lì ho avuto la fortuna di avere come professore di filosofia Luciano Anceschi, che era già un importante critico, e a lui ho fatto leggere le mie prime poesie. Anceschi era una persona molto ricettiva alle novità, sensibile a tutto ciò che accadeva, e la sua rivista Il Verri, di cui diventai fin dall'inizio redattore, cercava proprio di fare questo, di arricchire la letteratura con stimoli che arrivavano dalla musica, dal cinema, dalle arti figurative ... ".
E l'università?
"Posso dire che l'incontro con Anceschí ha cambiato la mia vita, non solo perché ho cominciato veramente a scrivere, ma perché ho rinunciato ad avere una carriera nell'industria. Dopo il liceo sono stato iscritto un paio d'anni a Economia, ho dato qualche esame, uno con Fanfani, ma non mi piaceva, i miei interessi erano altrove".
Tutto questo accadeva a cavallo tra gli anni '50 e i '60. Un movimento vitale?
"Gli anni '50 erano stati una palude in cui l'Italia era fossílizzata in posizioni di un provincialìsmo estremo. Poi di colpo, col boom economico, soprattutto a Milano qualcosa ha cominciato a muoversi: arrivavano a valanga cose nuove dall'estero, c'erano i pittori, che vivevano qui a Brera, i musicisti, da Berio a Donatonì, gli architetti, da Gregotti a GaeAulenti. Solo la letteratura rimaneva in una situazione arretrata, non era al passo con quello che succedeva".
Poi è arrivato il Gruppo 63.
"Sì. Io, nel frattempo, avevo mollato l'università e iniziato a lavorare alla casa editrice Bompiani, dove già c'era Umberto Eco. Allora mi sono trovato a far parte di un gruppo dì giovani scrittori e critici la cui aspirazione era fare piazza pulita con un passato recente che la nostra generazione non sopportava più ed entrare in sintonia col resto dell'Europa. L'occasione fu un festival di musica contemporanea a Palermo, durante il quale si svolse il nostro primo convegno. Fu lì che ci costituimmo come gruppo".
Cinque anni dopo...
"Il '68. Che è stato l'esplosione del malcontento e delle esigenze di cambiamento che si erano manifestate lungo tutti gli anni '60, da quando sono apparsi sulla scena "i giosvani", intesi come categoria sociale. Prima di allora non esistevano. Con il movimento del '68 hanno voluto prendere la parola. Poi' ci sono state le lotte operaie dell'"autunno caldo" che ho raccontato in Vogliamo tutto e le cose hanno preso un andamento vertiginoso".
Qualcosa, poi, non ha funzionato...
"La reazione dello Stato è stata durissima. A partire dalla strage di piazza Fontana, nel 1969, si è voluto dire no a ogni spinta al rinnovamento. Sono stati anni frenetici, di grande vitalità, di grande creatività e anche di grande gioia di vivere nonostante il clima oppressivo che la repressione ha finito per instaurare. Chi pensava di cambiare le cose è stato punito duramente. Le Brigate Rosse, con le loro idee rivoluzionarie antiquate e le loro azioni sconsiderate, hanno fatto il resto, legittimando pienamente chi faceva di tutto per cancellare ogni volontà di trasformazione".
E lei è dovuto scappare in Francia
"Insieme a moltissimi altri, Ci furono arresti in massa, come quelli del "7 aprile', quando a molti intellettuali attivi nel Movimento venne attribuita la responsabilità diretta di tutti gli atti di violenza compiuti in Italia, assassinio di Aldo Moro compreso. L'unica prova criminale nei miei confronti era l'esistenza del mio nome nell'agenda di Toni Negri, di cui ero notoriamente amico. lo comunque non fui arrestato perché quando mi cercarono a Roma, dove abitavo, mi trovavo a Milano. Da lì ho raggiunto la Francia clandestinamente, attraverso il Monte Bianco, con gli sci".
Come ha vissulo l'esilio?
"Come la fine di un periodo straordinario, e con il tempo di ripensarlo e anche di scriverci su qualche libro. Ma anche come possibilità di nuove esperienze, nuovi luoghi, nuove persone. Ho abitato in Provenza alcuni anni e ne sono rimasto affascinato, mi sono messo a dipingere, ho messo al mondo un figlio... Quando, cinque anni dopo, sono stato assolto, ho fatto fatica a tornare in Italia, anche solo per brevi periodi".
Nel frattempo erano arrivati gli anni Ottanta
"Anni orribili, ,gli anni della restaurazione e dell'oblio, ma ripensandoli sono certo più interessanti della piatta banalità in cui siamo immersi oggi. Eppure c'è stato un momento, all'inizio di questo decennio... La breve stagione di Tangentopoli, quando ogni giorno arrestavano un politico o un potente, la gente si aspettava davvero che le cose finalmente cambiassero. Ma poi a poco a poco tutto si è afflosciato e ancora Lina volta niente è cambiato. Ce ne siamo dimenticati, come avviene con un programma televisivo replicato troppe volte".
Cosa pensa della televisione?
"Un un mezzo che ha possibilità straordinarie usato nel peggiore dei modi. Specialmente in Italia, dove tutti i programmi sono appiattiti sul livello più basso. E dove è riuscita a creare una realtà fittizia ammorbante, in cui la gente crede di vivere."
E di Internet?
"Se riesce a mantenersi libera, può realizzare il sogno di una comunicazione veramente democratica, aperta a tutti. Ma proprio per questo ci si prepara a introdurre controlli, limitazioni... ".
Di questa guerra?
"Una follia criminale, come tutte le guerre. L'occasione per Clinton di dimostrare che, di fronte a un'Europa incapace, gli Stati Uniti sanno risolvere i problemi di tutto il mondo. A modo loro, con le bombe. Anche se poi i problemi diventano enormemente più gravi".
Qual è l'ultimo fìlm che ha visto?
"Il terzo episodio dì La vita sessuale dei belgi, di Jan Bucquoy. Un fìlm delirante. Il regista partecipa alla lotta degli operai licenziati filmandoli e alla fine decide di rapire il presidente della Renault, lo sequestra per obbligarlo a rinunciare alla chiusura della fabbrica, ma al Suo rifiuto lo taglia a pezzetti. Ogni tanto la storia si interrompe, e si vedono lui e sua moglie sul letto che fanno l'amore".
Che cosè l'amore?
"AI livello più alto, dunque più interessante, è un'energia che ogni tanto, imprevedibilmente, ci fa vivere al massimo dell'intensità una persona, un avvenimento, un'idea, strappandoci brutalmente e pericolosamente alla contemplazione quotidiana di noi stessi".
A cosa serve la letteratura? A capire la realtà? A cambiarla?
"Direttamente, né l'uno né l'altro. La letteratura ci offre nuove realtà, fatte di parole, in cui possiamo temporaneamente abitare e viaggiare con la mente, mondi paralleli che permettono esperienze coinvolgenti e fortissime, che poi ognuno potrà mettere a frutto come meglio vorrà".
Stima Lara Croft?
"Sì, perché ha molte affinità con la signorina Richmond, la mia eroina di cui sta per uscire la racconta completa delle avventure in versi".

Aldo Nove
Sette/Corriere della sera 13.5.99


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