Aldo Nove: anche Viggiù ha diritto a una Spoon River

intervista a Aldo Nove
di Brunella Schisa
Su "Il Venerdì" di "Repubblica" del 2/04/04



C'è un vento di regressione che soffia sulla narrativa italiana, dai fratelli di Simona Vinci, alle puzze e alle deiezioni di Franco Stelzer. E adesso Aldo Nove. L'ex "cannibale", dopo quattro anni di silenzio (in realtà sono usciti altri due preziosi libri: Covers e Fuoco su Babilonia, ndjurij) ritorna con un libro di racconti che in realtà compongono un romanzo autobiografico. Il protagonista è un bambino nato a Viggiù, un paese di cinquemila anime al confine con la Svizzera. Più si procede nella lettura più le categorie si abbassano all'altezza dello sguardo del protagonista, il linguaggio infantile, sgrammaticato e sconnesso nella sintassi, si impoverisce (Brunella capisce 'na sega. ndjurij). Alcuni racconti, come il primo che dà il titolo al libro sono straordinari.

Lei è ossessionato dall'infanzia? Anche il romanzo Amore mio infinito aveva tutta una prima parte infantile?
Sono interessato a tutti i mutamenti decisivi avvenuti tra il '75 e l'85. la tecnologia, i computer, il passaggio dal vinile ai Cd, dalla tv in bianco e nero al colore. Per capire l'oggi devo tornare indietro, alla mia infanzia.
Viggiù alla lunga diventa claustrofobia.
Cechov diceva: se cerchi di essere l'universale sarai provinciale, se cerchi di essere provinciale sarai universale. Allora Edgar Lee Master era un provinciale? La mia piccola Spoon River viggiutese è influenzata più di tutto da No al denaro di De André.
Non le sembra di aver esagerato con le cacche e la pipì: sembrerebbe che lei, a trentasei anni, non abbia superato ancora la fase anale.
Non sarei in cattiva compagnia, anche Mozart, secondo Freud. In realtà ne parlo in quattro racconti, in effetti nel dieci per cento del libro.


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