Aldo Nove, Amore
mio infinito, Torino, Einaudi Tascabili, 2000,
pp. 177
Fausto Bertinotti
confessa alla redazione di infinitestorie.it di stare leggendo Aldo Nove, Amore mio infinito:
"Seguo da tempo Aldo Nove, perché è un autore europeo del nostro tempo, che con tenerezza e con rabbia indaga criticamente il mondo che lo circonda. Tutto il lavoro di Aldo Nove consiste in una sorta di "corpo a corpo" con il proprio, cioè il nostro, tempo. Mi piace proprio perché ci vuole coraggio e saggezza per affrontare una sfida del genere."
Crediamo sia superfluo proseguire. Piuttosto, dobbiamo rilevare come
l'illimitata pluralità di possibili interpretazioni, ingenerata
dall'intrecciarsi degli elementi appena menzionati, si offra a sua volta in
modo del tutto gratuito, per l'assoluta mancanza di una qualsiasi finalità. Questa
assenza di obiettivi definiti riconduce l'intera operazione narrativa ad un
grande gioco, secondo un'altra delle strategie retoriche postmoderniste.
In realtà, però, il dualismo tra finalità e gioco concerne a sua volta la
manifestazione del double coding, altro elemento cardine del
postmodernismo letterario. Il doppio registro, la cui attuazione prevede l'uso
delle pratiche intertestuali appena analizzate (citazione, parodia ecc.),
comporta poi lo svolgimento della scrittura su due piani e per due scopi
differenti: da un lato per la lettura da parte del pubblico cosiddetto di
massa, dall'altro per un'interpretazione più avveduta ed esperta. Secondo tale
prospettiva, Amore mio infinito si propone dunque come una storia
d'amore e di formazione, e allo stesso tempo come un romanzo-gioco che sfida
chi vi partecipa a scovare allusioni e trucchi. Anche se il nostro personale
orientamento estetico e il nostro gusto artistico ci portano a non
entusiasmarci troppo di fronte ad un prodotto del genere, si deve tuttavia
riconoscere che la fusione tra quei due registri è svolta in maniera
particolarmente efficace dal punto di vista della resa narrativa. Il libro
rappresenta anzi, in tal senso, un autentico approdo, per quanto provvisorio,
di un ideale percorso dell'autore.
La differente forma in cui sono organizzate le sue tre opere implica infatti un
diverso scopo per il quale viene in esse utilizzato il doppio registro. Il
primo libro, Woobinda, non è innanzitutto una storia unitaria: si tratta
piuttosto di un sanguinolento patchwork di racconti frammentarî. Tale
assenza di narrazione impedisce, di fatto, una finalità del doppio registro sul
piano, appunto, narrativo. La doppiezza, così, più che al costituirsi del
messaggio è strumentale alla ricezione dello stesso. I due tipi di destinatario
che il double coding presuppone sono quindi considerati del tutto
separati all'interno della concreta realizzazione del discorso (cosicché, se
l'un tipo di pubblico legge dei semplici raccontini usa e getta - pulp -,
l'altro è portato per lo più ad attuare un'analisi sociologica dell'opera in
rapporto alla realtà contestuale).
Nell'opera successiva, Puerto Plata Market, il soggetto scrivente inizia a comporre una storia
dalla forma più definita. Il procedimento retorico comincia dunque ad operare
entro la «funzione poetica» (nei termini di Jakobson), sebbene il romanzo sia
ancora troppo frammentario perché quella cifra stilistica possa esprimersi
pienamente in quel senso. Inoltre, la scelta della materia e di un
protagonista-narratore piuttosto lontani dalla realtà individuale del soggetto
scrivente rende ancora ben distinte le due modalità di ricezione e i due tipi
di pubblico.
Amore mio infinito, finalmente, realizza una narrazione compiuta.
L'utilizzo del doppio registro, allora, viene applicato in maniera pienamente
strumentale al messaggio, producendo, per così dire, un «compattamento» dei due
piani. La duplicità in questione si traduce allora rispettivamente, al livello
del ricevente, nei procedimenti di finalità e di gioco, che in tal modo
appaiono in una equilibrata compresenza.
Ma c'è di più. Come ha sostenuto Eco, l'enunciazione al quadrato non priva il messaggio della sua validità semantica. In altri termini, nonostante Amore mio infinito sia composto per intero da parole e stili altrui, il suo contenuto non perde in significanza. Pertanto, il lettore più avveduto potrà, con una maggiore consapevolezza critica, usufruire ugualmente della narrazione di cui gode il lettore-consumatore. Ci permettiamo invero di avanzare seri dubbi sul fatto che un racconto «tra virgolette» (parafrasando un'espressione della Hutcheon) possa mantenere tutta la sua consistenza al momento della ricezione da parte di un lettore colto. Tuttavia, non possiamo esimerci dal rilevare che questa scelta retorica e narrativa comporta una diversa posizione, rispetto alle opere precedenti, del soggetto scrivente nei confronti della sua materia e del pubblico. Ci pare inutile stabilire quale sia la causa e quale l'effetto, se abbia cioè la precedenza, nelle intenzioni dell'autore, la strutturazione del libro o il rapporto con i lettori. Meglio, invece, far notare come anche in questo caso si sia verificato un percorso progressivo di avvicinamento, nell'arco delle tre opere. La prima, infatti, vede il soggetto scrivente del tutto distaccato dalla sua materia (in maniera idealistica ed onanistica, secondo F. Pezzarossa); e si può ogni tanto scorgere, mediante riflessioni extra-testuali, il suo ghigno profondamente ironico. In seguito, un minore distanziamento, sebbene appaia nella forma, è in realtà assente per intero nella sostanza di Puerto Plata Market (per i motivi di cui abbiamo già fatto menzione). La situazione, da ultimo, di Amore mio infinito appare perlomeno problematica. Potremmo infatti pensare che la creazione di quell'intellettualistico gioco lasci il soggetto scrivente nella sua postazione distante e ironica, gerarchizzando conseguentemente i due tipi di pubblico chiamati in causa. Oppure, basandoci anche su quanto visto riguardo al doppio registro, potremmo ipotizzare un parallelo tra lui e il narratore-protagonista (non trascurando però di problematizzarne la liceità). Saremmo quindi portati a credere che il soggetto scrivente si sia forse rassegnato ad entrare nella realtà, così come l'altro, nel romanzo, si adatta al contesto esterno (rinunciando postmodernamente a qualsiasi individualità per essere tutto e nulla al medesimo tempo). Ma che nel fare questo, in ogni caso, conservi l'acutezza dello sguardo e la consapevolezza che sono proprie, tradizionalmente, dello scrittore o del poeta. Confessiamo che ci piacerebbe poter credere che sia proprio così, ma la questione va necessariamente lasciata aperta.
Resta da fare un'ultima notazione, tenendo forse arbitrariamente distinte le due letture, ed accordando maggiore importanza a quella esperta. Abbiamo riscontrato come, da questa ottica, manchi nel romanzo una finalità utilitaristica e d'intervento sul reale. Tale intendimento risulta sostituito dalla pura e semplice «funzione poetica», che sempre a parere di Jakobson si ha quando «l'accento [è] posto sul messaggio per se stesso». Allargando questa concezione dall'ambito meramente linguistico a quello poetico in senso stretto, si potrebbe dire che ciò che informa il romanzo è, in definitiva, l'autoreferenzialità tipica della poesia di matrice petrarchesca (che secondo Contini perdura fino a Montale). In conclusione, allora, sembra quasi che Aldo Nove (alias il poeta Antonello Satta Centanin) si sia accorto che la scrittura postmodernista può perseguire (anche se certo in altri modi) la stessa finalità di quel tipo di scrittura poetica, e abbia perciò scelto per il suo romanzo un tema lirico per eccellenza. È questa, certo, un'ipotesi forte che appare della stessa sostanza dei voli «filosofico-pindarici» di certa critica decostruzionista. Ancora una volta, però, il nostro orientamento estetico (nonché una certa nostalgia umanistica) ci spinge a correre tale rischio.