Funari incontra Shakespeare: "Re Lear sono io"

Le ombre di William Shakespeare e del suo Re Lear si aggirano tra uno strapiombo di roccia e uno spiazzo arido a picco sul mare di Loano, nel ponente ligure.
Potrebbe essere argomento per l'ennesima leggenda estiva, fabbricata ad uso e consumo di turisti e villeggianti non paghi di sole e di mare; invece sono ombre né leggende ad animare le cave di sabbia -ormai dismesse- di Boissano, ma attori in carne, ossa e costumi di scena, impegnati a dare corpo e voce ai personaggi della tragedia scespiriana sul set di un film.
Si tratta, appunto, di "Re Lear-otto flashback", che il regista e musicista Andrea Liberovici sta girando sulla sceneggiatura dello scrittore Aldo Nove. La parte del vecchio e inquietante re è affidata a Gianfranco Funari, nel nome di una collaborazione che con Liberovici e Nove riesce sul versante teatrale e cinematografico: lo confermano i successi di: "Candido" dato in scena la scorsa stagione sul palcoscenico de1 Teatro Stabile dì Genova (dove Funari interpretava Pangloss) e del cortometraggio applaudito al Festival di Locarno sull'ipotetico ultimo giorno di vita in manicomio- dell'attore Johnnie Weissmuller, indimenticabile Tarzan, qui ancora reso da Funari.
"Questo Re Lear", spiega Andrea Liberovici, "nasce da un articolo pubblicato sull'Espresso, in cui il giornalista Giancarlo Dotto riporta la risposta di Funari alla domanda relativa ad una sua eventuale candidatura politica: -No grazie c'ho da fare, devo morì-".
Una risposta da solitario e autorevole Re Lear, che - continua Liberovici - "ha fatto rif1ettere sulle analogie ra il vissuto scenico del personaggio di Shakespeare e quello reale di Gianfranco, nel segno della tragicità di un potere che implica il tradimento da parte di coloro in cui si riponeva massima fiducia."
Gli otto flashback del titolo sono otto visioni che il Re Lear di Nove-Liberovici ha in un momento ben preciso, vale a dire quel lungo istante che deve essere il passaggio tra la veglia e il sonno eterno; sospeso nella lucidità che separa mondo dei vivi e mondo dei morti, Lear racconta otto episodi della sua vita, tramutati in altrettante videocassette che verranno ritrovate da un presentatore (sempre Gianfranco Funari) e date quindi in pasto ad un immaginario pubblico televisivo. Ecco che la verità amara del potere colto nel suo frantumarsi viene filtrata attraverso mezzi e modi televisivi. "La Visione, anzi le visioni di Lear"dice Aldo Nove "colgono la verità del disfacimento e della vacuità di ogni potere. Ma la verità qui si consacra e si condensa in videocassetta, ed è smascherata con quel meccanismo bivalente che, attraverso la televisione, mostra e nasconde, formando e deformando la coscienza collettiva".
Le scene del film non riconducono a nessuna epoca particolare; i costumi però si rifanno ai chiassosi anni '80, quando paillettes e colori roboanti costellavano la salita e la discesa al potere di tiranni televisivi e non.
Ancora un segno e un simbolo, dunque, ascrivibile alla metafora di un potere innescato e poi disinnescato, che non si regge se non sul fallimento del precedente e si sgretola su se stesso per fare posto al successivo.
"In Re Lear ho trovato molto di Gianfranco Funari" conclude Gianfranco Funari stesso "delle mie amarezze in particolare. Sono entrato e mi sono riconosciuto nel personaggio, insieme ad un gruppo con cui sono felice di lavorare per come si contraddistingue con talento, innocenza, creatività". Sono nel cast, oltre a Gianfranco Funari, Fabrizio Mattini nel1a parte del Matto, Licia Di Cristina (Cordelia), Paolo Giacchero (Gonerilla), Morena Funari (Regana). Scene di Paolo Giacchero e costumi di Cristina Aceti.

Alessandra Balestra, in "la Repubblica - Genova", 23 agosto 2004, pp. IV-V.





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