Funari fa il politico e Tarzan, Bebo Storti il re shakespeariano

LOCARNO.
"Adesso devo scegliere perché sono a un bivio per quanto riguarda il mio futuro. O mi metto a fare l'attore o divento il leader di un partito politico". Che dire? È un Gianfranco Funari formato Tarzan e pronto a parlare di tutto quello che a modo suo salta sulla liana del Festival del Film di Locarno per la proiezione, nella sezione Cineastes du présent, del cortometraggio Cinquecentomila leoni scritto da Aldo Nove e diretto da Andrea Liberovici che lo ha visto attore protagonista nelle vesti di Johnny Weissmiiller. Ovvero dell'uomo che dopo aver vinto il titolo di campione olimpico di nuoto nel 1924 e dopo essere diventata una star hollywoodiana riel1932 interpretando Tarzan l'uomo scimmia, nel 1977 sbatte la testa in un incidente, impazzisce e dalla stanza di un ospedale psichiatrico non perde il vizio di lanciare il suo famoso urlo. Anche nell'ultimo giorno della sua vita. Così almeno immaginano gli autori. E in questo si esibisce il Funari solitario, senza dentiera, con la lingua sdraiata su1 labbro inferiore e canottiera bianca tonda in pancia, che occupa i nove minuti del video, rinchiuso in un perimetro asettico e "metafisico" fatto di pareti bianche. Accentuato da una campionatura sonora che raddoppia parole, respiri e rumori, il monologo interiore risciacqua come l'oblò di una lavatrice i ricordi di un passato che la molla del delirio respinge in un continuo presente. Ascese e ricadute repentine, come quelle di Gianfranco Funari che sprofonda suo agio nei tic e nelle fobie del suo personaggio interpretato così come è a suo agio gigioneggiando e tranciando giudizi politici appena fuori dallo schermo. Del tipo: "il berlusconismo è morto e non può essere altrimenti, visto che nelle ultime elezioni un elettore su quattro se n'è andato via. A Berlusconi ormai non rimane che una sola speranza: Francesco Rutelli".
Oltre al trio Funari-Nove-Liberovici, già in procinto di mettersi al lavoro per un nuovo Re Lear, nella giornata di ieri un'altra presenza italiana è riuscita a ritagliarsi visibilità e meritati consensi. Riccardo, trasposizione girata in bianco e nero della tragedia shakespeariana nel carcere milanese di Bollatte per un adattamento realizzato dal regista Bruno Bigoni assieme a ventidue studentesse dell'Università Iulm Milano. A eccezione di un incisivo Bebo Storti, unico attore professionista, gli altri ruoli sono stati tutti costruiti e interpretati dagli stessi detenuti che hanno rimpolpato lo slancio epico del testo, avvicinandolo alla loro quotidianità dando cosi corpo e voce alla situazione carceraria di oggi. Saldando senso politico, portata sociale e di segno estetico, il film che ne è venuto fuori non è soltanto utile, ma anche coraggiosamente bello.

Lorenzo Buccella, in "l'Unità", 7 agosto 2004, p. 23.





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