meglio 'na canzone - berlusconi canta napoli

Allo stato attuale delle cose, che la sinistra si dibatte ancora tra l'epifania berlusconiana delle corna sulla foto-famiglia degli euroministri degli esteri, e l'irruzione di Moretti sul palco dei suoi (della sinistra) separati in casa, e si pone insondabili questioni di quale sia la politica-spettacolo a cui dovremo rassegnarci; ma soprattutto, adesso, dopo la postilla misteriosa che "l'Espresso" ha apposto alla sua centuria di barzellette sul Cavaliere (nella quale, senza poi spiegarci l'arcano, ci viene detto che di esse solo due sono barzellette - le altre sono pura cronaca); la questione, resta nondimeno questa. - Ma il testo di Meglio 'na canzone, il nuovo stracult cantanapolino portato dal cantante Mariano Apicella a "Buona domenica" di Canale 5 dopo serissimo esame da parte dei capigruppo della maggioranza, è il frutto della instancabile mente del Cavaliere, o è vero che il signore di Arcore - di concerto con i suoi killer d'elezioni (Letta, che so, Schifani, e forse Bossi addirittura) e sotto copertura dei servizi segreti e di Scajola in persona - ha inteso emendare il repertorio stesso della napolitudine verace?

E allora, torniamo un attimo a quella che è, credo, la più impagabile epifania di regime che si sia manifestata (di più, ancora di più delle corna, e delle barzellette che il premier ama elargire di persona).

Analizziamo un primo stralcio del testo. "L'ammore è 'na stagione e niente cchiù / e mo' te ne si' accorta pure tu / sunnanno 'int' 'a ammore / ma in francese se dice mon amour". La storia, manco a dirlo, è uno di quei supercliché intramontabili: flirt ischitano tra scialba francesina in tour e sentimentaleggiante marpione peninsulare (anzi isolano, nella circostanza): tale da riflettere in qualche modo i fasti trascorsi di pianista-cantante di pianobar da crociera, da parte di colui che, in un futuro ahimé non troppo remoto, avrebbe fatto dell'avanspettacolo il suo sistema di comando. Nella sciattitudine trascendentale - ma dovremmo dire forse 'understatement' - dello incipit ("L'ammore è 'na stagione e niente cchiù") non dovremo avvertire forse un riverbero adulterato (nel senso, anche, di 'sputtanato') di quei proverbiali versi del Magnifico ("Quant'è bella giovinezza" ecc.)? - Tutto nello stile, cioè, di colui che, alla vigilia della sua scalata ai vertici istituzionali, avrebbe prodotto un ambizioso commento (e capzioso, sì, ma anche questo sta scritto nel programma) al Principe del Machiavelli. Per quanto, con un magico tocco Aurelio Fierro sul tutto (i.e., "E tu vuliv' a' pizza" ecc., "c'a'pummarola 'n'coppa" ecc., "'a pizza e niente chiù!"), che ci sta sempre magico, un po' come il basilico sulla (pizza) margherita.

Se il primo verso evoca così importanti sfondi letterario-istituzionali, il secondo è una strizzatina d'occhio in tipico stile arcòreo, e dunque ha l'effetto di tranquillizzare chi già abbia dovuto sgomentarsi di un così altezzoso filosofeggiare; facendosi forte del tipico melanconismo da operetta che pervade tanta tragicommedia rinunciataria del nostro Sud (cioè del suo complicatissimo stereotipo: paese di Pulcinella & palazzo del Gattopardo, tammorra & acido solforico, cielo/mare & cemento in Libertà…), questo testo ci dice che, sì, è pur necessario declinare le impossibili promesse che il seduttore avrà fatto al suo prossimo (che sia turista-femmina o sia elettore-neutro), ma l'importante, poi, è saper scaricare le responsabilità sul quel prossimo stesso. Se te ne sei accorta/accorto, ci dice il testo, vuol dire che è da sempre che sono stati cazzi tuoi, e stronza/stronzo tu se non l'hai capito fino a 'mò (anzi non dice stronza, ma è solo per sfregio a Masini); "ammore" e "mon amour" sono solo due distinte parole (la cui distinzione è in grado, solo che ci si fermi a pensarci, di procurare la stessa misteriosa estasi del magico trinomio dell'estate "sole cuore amore"): e non significano per niente la stessa cosa. Resta da decidere, certo, quale sia la più sòla delle due (ma il contesto ci fa capire che la più sòla è "ammore", ma tanto è tutto ok se sai come tirare dentro il medio e protendere insieme l'indice e l'anulare): in ogni caso, l'Europa è lontana (tantopiù da Ischia), l'euro c'è ma però… E insomma, contro l'amour degli euroentusiasti assai poco scafati, i marpioni governanti e schifani si fanno scudo di un "ammore" euroscettico (gattopardesco, ancor più che pulcinellesco?).

Ma vediamo il séguito. "Ammore, ammore mio, mon amour / 'o ssaie nun t'aspettavo proprio 'cchiù / Volevo scriverti 'na lettera / però aggio pensato che è meglio 'na canzone". - Lei, scaricata col più classico dei buffetti sulla spalla sul bordo del pianufforte 'e notte finto-ischitano sullo sfondo di ben altre strafighe in avvicinamento (fra cui, la futura Veronica?), o sulle sponde termali di megacomplessi come il magnifico Poseidon di Cetara, s'è reinfranciosata felicemente, e si gode il suo air de Paris, spedendo cartoline. Lui, petulante come non mai (e alla vigilia di performances ultracultuosa tipo quelle di cui avrà costellato l'ero-meeting di cui sopra - fra cui, appunto, l'understatement zuzzurellone delle corna, di cui sopra), lui novellamente insidia; e, denunciando così la sua cronica resistenza ad affrancare la posta (per non dire, a compilare righe in francio-napoletano), che sia euroscettica quella resistenza oppure furbesca o invece semplicemente ignorante, dichiara di cedere al suo èmpito creativo. Si mette al pianoforte, strimpellando. E compone, e canta (ed è qui la 'mise an abyme', la canzone-nella-canzone? Al Magnifico, e a Machiavelli, subentra un Pirandello mandolinato, che abbia felicemente risolto tutte le sue contraddizioni socio-ontologiche - & connesse problematiche della soggettività - col più classico dei gesti apotropaici: e scegliendo, appunto, la "maschera" totale, e il sorrisetto stronzo). Così, lei, polla come ogni euroentusiasta che si rispetti, lei abboccherà, chissà, di nuovo, come la più classica delle spigole francesi, alla lenza calata dal pianobar di crociera, trasformato già nel più pacchiano dei mega-yacht presidenziali che abbiano mai osato solcare le magiche acque del Golfo per agganciarne le sirene.

Questo, quanto alle piccole morali che la canzuncella ci comunica; e che ce la rivelano come il più credibile, forse, e subliminale, e naturalmente verace dei manifesti politici mai formulati presso quel potente, calcistico intelletto italiota che dové inventarsi la magica formula di "Forza Italia", prima di espandersi nel Canta Napoli con tutte le sue forze d'occupazione.

Ma appunto, sorge qui la domanda: è sorto davvero dal Cavaliere tanto ineguagliabile ingegno, oppure il nostro premier si è limitato a un modesto editing su un testo così inarrivabilmente geniale?

È al "Caruso", il ristorante dell'Hotel Vesuvio, che dalla viva voce di Mariano Apicella - cantante, figlio d'arte, e, obbligatoriamente, umile cortigiano - il presidente Silvio Berlusconi ascolta per la prima volta l'abozzo di quella che sarà il suo nuovo inno sudista, e subito s'infiamma. - Che il versatile Presidente si stia già sognando emulo del D'Annunzio paroliere? ("Sì comm' a nu sciurillo, / tu tiene la vucchella / nu poco pocorillo / appassuliatella"). - Fatto sta, che chiama subito a sé il giovane cantante, e gli promette che lo farà esibire nel corso della convention di Forza Italia, giusto di fronte alla faccia graziosissima del capogruppo Schifani, a patto che…

…A patto che si accetti qualche sostanziale ritocco. Ci sono espressioni napoline che a Milano non si capirebbero - questo è il senso delle obiezioni del Premier; e, con la testa d'ariete della francese spigolata, inaugura il napoletano in franchising, il vocoder napoletario, il franchising del cantanapoli più funereo, o più cialtrone. Che è il punto di non ritorno del cliché: il cliché che il trash di regime eleva a una talmente ennesima potenza (e sottopone a una così decisa operazione d'ingegneria genetica), da renderlo, alla lettera, trascendentale.

Non è importante, allora, che questa canzone sia o non sia il plagio che probabilmente è (il che poi sarebbe più che ovvio, considerate le premesse, e il profilo stesso presidenziale): per cui cfr. Suspiranno mon amour, brano anni '50 a firma Cesareo-Lombardi, che Nilla Pizzi rese famoso. Il fatto che dobbiamo registrare, è che, dal piazzista magistrale che lui si sogna agli interni e agli esteri - e dal chiuso di quella saletta di pianobar (dietro la casa del "Grande Fratello") in cui la sua filosofia della comunicazione ha riconvertito l'Italia -, il presidente mediaset del Consiglio ha saputo intuire che, contro la sinistra "piazzaiola", è veramente "meglio 'na canzone". Meglio, molto meglio un muro-di-suono da operetta, in mediaset o persino in napoletano meneghizzato e pure infranciosabile, sognandosi in crociera lungo lidi dolcissimi di banane, perché, a suonarsela e a cantarsela, tutti i pirla continuino a desiderare di esserlo, e tutti i canzonati poltriscano nella loro buona domenica", e vengano coperti, col corredo del noto cantereccio sorriso di piazzista, i sibili delle pallottole di Scajola ad altezza uomo, sulle piazze piazzaiole, di cui sopra. Perché insomma la morale resta quella là, è che se canti (e te la canti, e gliela canti), poi alla fine passa.

Ma poi, come ha commentato un napoletano veramente verace: "Il nostro è un paese di poeti, di santi, di navigatori, e di presidenti del Consiglio parolieri". Appunto: "meglio 'na canzone". Anzi, è 'o mmàssimo; con pommarola senza pommarola. E, veramente, scusate se è poco.

tommaso ottonieri
su Tribù Astratte del 27 febbraio 2002

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