Maledizioni di Salomè

“Libri immaginati per lo sguardo”: è così che si propone la collana appena nata, dalle new waves torinesi, ad opera di Sparajurij [“comune” neopunksituazionista di scritture], diffusa nel nome di “Maledizioni”; titolo ammiccante-dissacratorio, per una collana [“male” empie o ribelli, saranno le “edizioni” presentate], ma come disinnescato in partenza, nella calma piatta della società della Comunicazione: dove, si sa, ogni scarto, non appena postulato, ogni dissacrazione, si normativizza [e persino il “maudit” diviene sfumatura, tocco]. Perché – avrebbe detto un Mallarmé capovolto – non sarà un marchio ad abolire il Marketing; e neppure l’abolizione del marchio [così giusto nel nome di “No Name” poteva presentarsi una sigla denegatoria per manufatti alla Nike; che lei, resta pur sempre la sola affermativamente in corsa per la Vittoria]. E tantomeno, per esplosione, come una bolla, il gonfiarsi per marketing: perché era Leopardi, a notarlo? Oppure Beckett? Oppure i Sex Pistola?] “solo il Nulla si accresce”, senza alcun limite. E addirittura, senza scoppiare.
Libri immaginati per lo sguardo. Ma cos’è questo sguardo? È un “vedere lungo”, cercando la “sintesi del presente” ma giusto come possibile “sintassi del futuro”. E viceversa, certo: se quest’ultimo, il futuro, “non si sa quand’è e non si sa se c’è” e il “no future” diventa occasione invece per una occasione del presente; a ciò appunto per cui ogni scrittura degna del suo nome ossia capace di incidersi, incidere [ogni “linguaggio” che ha la forza di cambiarsi” nella forzatura stessa dell’esterno ed estremo], non cessa di stendere la sua traccia.
Tre e differenti le uscite, a inaugurare un’ avventura che [nella sua “lungimiranza”] non si pone limiti. Le litanie del torinese Nero Luci nel suo “Amen” [la velocità dell’amen è quella stessa della luce?]; l’iperespressivismo lanciato/paradossale [neo-futurismo, no-futurismo] delle “Inferriate” di Stefano Raspini pantagruelico reggiano. Ma soprattutto, l’atteso esordio di una delle autrici/performatrici in verso vivo, dotate di maggior forza e spessore [testuale, figurativo]. Si tratta di Sara Ventroni: che, per la sua prima opera in materiale cartaceo, sceglie una “partitura” teatrale: a incorporare, nella statica del testo, la potenzialità della performance. Riplasmata, tra invenzione e rigore documentario, con freschezza e vis nobilmente “comica” [nel segno, sottotraccia, di “Frate Cipolla, Petrolini, Pagliarani”], la darkness baccanale della topica vicenda di Salomè, si sprigiona come fosse la prima volta nella levità d’una lunga danza verbale: nel movimento di corpi-lingue, sfrenatamente composto.

Tommaso Ottonieri su "Carta" di lunedì 23 gennaio 2006.

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