La merce che c'è in noi

La merce che c'è in noi, la materia della merce che abbiamo usato, che
della nostra lingua è sostanza, la merce vampirizzante la lingua in qualche
specie di metastasi aliena e in risalita per qualche resurrezione zombi,
questa merce dentro e fuori di noi che intesse i limiti del nostro corpo e
della sua lingua annidandosi fra le nostre cellule, la durezza della merce
non buttata via, è tutto quello che rimane che possa dirci adesso di una
nostra resistenza.
L'alto potenziale mitopoietico di lingue narrative come queste, deriva
dalla capacità che esse hanno di trascinare con sé, irriducibili, gli
ultimi impulsi di quelle resistenze. Proprio sul punto in cui le lingue
vanno a proiettarsi (essere scagliate) nella indistinzione di un oltre più
incorporeo.
Oltre la lingua, oltre-letteratura, oltre la stessa narrativa o almeno,
oltre gli stessi codici che del racconto garantiscono la riconoscibilità.
L'irriconoscibile invece è la retorica che percorre queste lingue: e le
esclude alla garanzia di un punto di vista certo, posto-al-di-sopra, o
distinto chiaramente dall'orizzonte di cui parlano.
Quella capacità nuova che dicevo di addensare miti, e magari di
allegorizzare in un concerto di instabili materie, deriva allora dal loro
residuarsi per intermittenze dalla medesima materia della merce: là dove
ogni resistenza è sul punto di cedere alla linea della sua tensione, ma
ancora può mandarci segnali. Discontinuamente.
La merce che c'è in noi, questa merce desueta già consumata da un tempo
che è già astralmente remoto, è allora tutto quello che rimane dei nostri
corpi e delle nostre lingue, prima che si completi il ciclo della loro
biodegradazione o del loro riciclarsi in altra materia. Merce di sintesi,
forzata, consunta dal suo uso, poi trasmutata in lingua: merce che lungo
questi cicli transbiologici risale ad ingaggiare una muta resistenza - un
corpo a corpo contro il suo stesso dematerializzarsi in una sintesi finale.
Queste lingue parlano allora dei loro residui. Anzi parlano i loro
residui. La merce che c'è in noi, sul punto di dissolversi; la nostra
lingua stessa, scambiata nel mercato d'una comunicazione che sempre di più
si allontana dalla verificabilità di un contatto. La plastica linguistica
in cui il trauma d'una mutazione chimica della materia della lingua urla
dal suo remoto, appena un istante prima d'incanalarsi nelle tubature, forse
seminali, della sua irresistibile tensione.

da La bestia 1: narrative invaders!, Costa & Nolan 1997.

- Scrivici per ogni curiosità e richiesta su Tommaso Ottonieri -