AZZURRO

di Raul Montanari


a Tiziano Scarpa

Io mi sono macchiato, a detta di molti, di colpe irrimediabili. Penso che non siano più atroci delle infinite altre che questo sole torrido ha contemplato.

È vero, appartengo alla polizia di uno stato oppressore della libertà. Sono stimato, dai miei corrotti superiori, per la mia incorruttibile fedeltà al mio compito. La faccia del commissario che mi porge un bicchiere di brandy non è diversa da quella dell'uomo che ha smesso da poco di urlare. Nella mia mente scorrono immagini odiose ai più. Ma se guardo all'intreccio di vie che mi ha condotto a questo porto, non trovo di essere stato più crudele o più codardo di mio fratello, che occupa una posizione rispettabile nell'ordine civile.

Ho ventitré anni, ma conosco già abbastanza del corpo umano da saperne trarre il massimo spasimo o il massimo piacere. (Ricordo un ragazzo, dal nome francese. Con aria di sfida, mi disse che l'impulso che genera piacere o dolore è il medesimo, solo il segno cambia. Sono stato, con lui, non meno spietato che con altri.)

Non trovo differenze fra le contorsioni dell'orgasmo e quelle della tortura; ma forse sono indotto a questo dal fatto che molte delle donne che ho avuto - spesso di ottima famiglia - amavano immaginare che le stessi torturando, e sussurravano confessioni non richieste.

In verità, non gioisco del potere che ho sui miei prigionieri. Nessuno qui ne gioisce, benché non ci si faccia mancare l'alcol per renderci più zelanti. Solo i nuovi arrivati mostrano (non so quanto fingano) di godere dell'opportunità di essere crudeli, e si fanno assegnare le donne.

Io mi sento il grado intermedio fra il potere esercitato su di me dallo stato che difendo e quello che io esercito sui prigionieri.

Senza avere ancora metà della loro vita, ho provato disprezzo e pietà per uomini di cinquant'anni, che gridavano possedendo una ragazza legata.

Tutto mi è indifferente.

Forse perché nessuna donna mi ha amato (io ispiro eccitamento, non amore), neppure io mi sono mai innamorato.

Faccio quel che devo fare, provando un'ombra di piacere nello svolgere le operazioni necessarie in modo efficiente e rapido. Per questo sono già ispettore. E per questo vengo impiegato in interrogatori veri e propri, e non collaboro con le Squadre della Morte. Non credo che Dio, se esiste, abbia tempo per premiarmi o punirmi.

Non c'è niente al mondo che mi piaccia davvero, niente che mi tocchi nel profondo, tranne un colore.

Sono stato fortunato in questo, perché il desiderio avrebbe potuto tormentarmi per una donna irraggiungibile, o per un tesoro inafferrabile, o per un colore strano, misterioso e inusuale. Invece, se solo il cielo è terso e sgombro da nubi, e il sole non troppo intenso né troppo blando, io posso immergere i miei occhi nell'azzurro.

Non so come, ho resistito all'impulso di tappezzare d'azzurro le pareti della mia casa, quando l'ho avuta. Ho invece rivestito del mio colore l'interno dei cassetti, che mi sorprendono e accarezzano i miei occhi quando li apro distratto, pensando ad altro. Il lampadario del piccolo salotto è azzurro, e diffonde un universo diafano di azzurro, ammorbidisce, più che illuminare, la notte intorno a me. La mia biancheria intima (non la camicia) è azzurra, come il confortevole interno della mia automobile.

Penso con gioia che un fiocco azzurro è stato il mio simbolo, un giorno.

I miei occhi sono neri. Non mi dispiace, perché intuisco in qualche modo che c'è una connessione tra la mancanza in essi del colore che amo, e l'amore stesso che provo. Ma nei miei sogni, che non sono mai angosciosi, figure luminescenti e azzurre emergono e mi guidano tra bui corridoi.

Oggi, come sempre, ho bendato gli occhi di un prigioniero, perché non mi distogliessero né influenzassero in nessun modo la mia opera. (A volte immagino di ucciderli subito con una prima scarica violenta, lasciando la bocca silenziosa e gli occhi spalancati e limpidi.)

Vivo immerso nell'azzurro. Il sangue che cola non tocca il fiore celeste, intangibile, in me.

Mi hanno detto che la rivoluzione è ormai vicina (noi li torturiamo per sapere quando loro ci uccideranno). Mani rese invincibili dall'odio mi afferreranno. Dita inesperte mi strapperanno grida imperfette. Morirò certo troppo in fretta. Ma l'ultima immagine, l'ultimo urlo, l'ultimo battito del cuore, avrà il colore e il sapore dell'azzurro.

(Se esisti, se non ti sono indifferente, fa' che mi prendano all'aperto, sotto un cielo terso e sgombro da nubi, e un sole né troppo intenso né troppo blando...)

 

- torna alla casapagina di Raul Montanari -