Raul Montanari, testo inedito, Ottobre 2000


"Voltai la testa sul cuscino. Ma sė, ero sveglio. Ero sveglio e al di lā della parete a meno di un metro dalle mie orecchie rimbombava una musica orchestrale fragorosa. Allungai una mano verso il comodino e presi lšorologio. Erano solo le nove e un quarto. Tornai a girarmi su un fianco e cercai di riprendere sonno, raccogliendo le ginocchia quasi fin sotto il mento e sforzandomi di proteggere con il lenzuolo lšorecchio rimasto scoperto. Nella camera accanto lšorchestra suonava le prime battute di una sinfonia, un brano famoso che mi era giā capitato di sentire molte volte, ma di cui non conoscevo il titolo. Dio, quanto detestavo la musica classica! La odiavo da sempre, quella musica e gli sguardi ebeti e presuntuosi della gente che andava ai concerti. Ma soprattutto mi sembrava che ci fosse una sproporzione grottesca fra i mezzi di cui la musica classica disponeva - tutte le infinite combinazioni della tavolozza orchestrale, le voci, i cori, le forme - e la semplicitā irritante dei sentimenti e degli stati dšanimo che, almeno ai miei occhi - alle mie orecchie - si limitava a suscitare, sempre quelli, sempre inutilmente esagerati: tristezza mortale, sconsolata, allegria ridicola, amore folle o sdolcinato, trionfo o catastrofe ugualmente totali, malinconia mielosa. Nella musica classica mancava completamente la dimensione intermedia di quella potenza incrinata, quellšenergia asciutta, senza speranze e senza pietā, che riuscivo a incontrare soltanto nelle scansioni martellanti del rock: ritmi implacabili, chitarre levate al cielo per violentarlo o mosse nellšaria come rasoi, piatti e tamburi talvolta tumultuosi come cuori in fibrillazione talvolta invece secchi e impassibili come cronometri, e voci incolte, roche e profonde e catarrose oppure metalliche e sibilanti su tappeti ritmici sempre prevedibili, sempre sorprendenti... E in fondo, in fondo a tutto questo ribollire di energia, che giā sarebbe bastato a marcare uno spazio da cui le manfrine della musica classica erano escluse, in fondo a tutto questo, quando la musica era davvero buona, si sentiva vibrare quella disperazione, quella sensazione di morte, come la percezione che il peggio sia giā accaduto, ci abbia giā segnati, e che lšunico riscatto stia nel cercare la bellezza anche in questo destino frantumato, riverso, cantare fra il fumo e le macerie - lšurlo della chitarra elettrica che sfida le stelle, la cavalcata fra colline senza scampo, la lacrima ricacciata in gola, lšultimo volo prima della fine. Poi al di lā della parete la musica cessō di colpo, lasciando un vuoto che mi diede un senso di vertigine".

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