Recensioni varie su Raul Montanari


“Montanari è un noirista mistico” (Andrea Camilleri, citato da Piero Sorrentino in «Stilos»).

Su La Perfezione (1994)

“La differenza fra il noir di Montanari e un giallo che potremmo acquistare al chiosco della stazione, per ammazzare il tempo del viaggio, è sostanziale: è la differenza che corre tra la letteratura cosiddetta d’intrattenimento e la letteratura senz’altra specificazione” (Pietro De Marchi, «Il Corriere del Ticino»).
“Singolare esempio di felice “scorrettezza politica”, La perfezione chiama il Male con il suo nome... da qui il fascino oscuro del romanzo... una potente, infernale approssimazione al Male” (Alberto Rollo, «L’Unità»).
“Le ferite inferte dal caso non guariscono, anzi si perpetuano” («la Repubblica»).
“Un raffinato romanzo sull’impossibilità di salvarsi la vita” (Daria Bignardi, «Anna»).
“Sovverte completamente le regole e i limiti di un genere spesso frequentato da molti esponenti della miglior letteratura contemporanea... fino a una pirotecnica catarsi” (Guido Michelone, «Letture»).
“Un thriller che affascina per la dimensione metafisica e la formula innovativa... in un’altalena di ritmi lenti e vorticosi” (Maria Grazia Cocchetti, «La Provincia»).
“Un libro che è come un inatteso pugno nello stomaco. Se ne esce sconvolti e affascinati” («Coopzeitung»).
“Ci sono libri che ci ammaliano, specialmente quando rimangono imperscrutabili anche dopo diverse letture. Il perfetto romanzo minimalista di Montanari è uno di questi” («Der Spiegel»).

Su Che cosa hai fatto (2001)

“Cronaca e stupore di un viaggio che è quello stesso della vita... un crescendo erotico di straordinaria tensione” (Giovanni Tesio, «Tuttolibri»).
“Pseudodecameron apocalittico in prima persona” (Antonella Fiori, «L’Espresso»).
“E’ e resterà un romanzo interessante e originale per parecchio tempo... L’impresa di Montanari sta nell’essere riuscito a scrivere di sesso dribblando la pressoché inevitabile noia che ti prende a doverne leggere” (Aldo Busi, «il manifesto»).
“Un romanzo sconvolgente, scabrosissimo, realistico. Uno stile immediato e una lingua che non si concede nessun pudore. L’autore è nudo: insieme con il lettore” («Stilos»).
“Non è facile parlare d’un libro come questo” (Ermanno Paccagnini, il «Corriere della sera»).
“...si popola di suoni, voci, grida, singhiozzi che vengono da oltre le fragili pareti della parola (e dell’anima). Cosa c’è, di là? Ecco la domanda che percuote ossessivamente chi legge questo eccellente romanzo” (Luca Doninelli, «Il Giornale»).
“Una tumultuosa discesa dantesca negli inferi di una Milano allucinante e attualissima... una incandescente via crucis sessuale” (Giuseppe Caliceti, «Liberazione»).
“Una perfetta fotografia di un millennio partito male, nell’inferno erotico di un personaggio senza nome sullo sfondo di una Milano invasa dai carri armati e paurosamente simile alla Genova del G8” («Amica»).
“Di una banalità inquietante” (David Fiesoli, «Il Tirreno»).
“Questo è un romanzo monumentale. Un romanzo epico. Un romanzo che mi ha preso l’anima e me l’ha strapazzata” (Piersandro Pallavicini, «Pulp»).
“Uno specchio dei nostri tempi... un linguaggio di una trasparenza meravigliosa” («Bild am Sonntag»).
“Bersaglio colpito, signor Montanari!” («Koelner Illustrierte»).

Su Il buio divora la strada (1991-2002)

“Un giallo che è molto di più, e sa di esserlo... il legame padre-figlio, la cecità del veggente, l’associazione eros-dolore sono temi antichi, ma Montanari ne trae qualcosa di nuovo” (Goffredo Fofi, «L’Unità»).
“Un ambiente metropolitano ritratto con visionario realismo” («la Repubblica»).
“I personaggi di Raul Montanari sono davvero intensi come la disperazione che interpretano” (Michele Trecca, «La Gazzetta del Mezzogiorno»).
“L’atmosfera incalzante ed enigmatica del thriller, il narrare incisivo e serrato, ove situazioni e personaggi s’intrecciano e si corrispondono... il risultato è un romanzo di formazione tragico, inquietante, polivalente” (Daniela Rasia, «Letture»).
“Un contrappunto rispetto al duro Che cosa hai fatto, discesa nelle bolge infernali del sesso e del disordine contemporaneo” (Daniele Piccini, «Il Giornale»).
“Un labirinto oscuro, un percorso a ostacoli disseminato di indizi inquietanti e un adolescente solo, perso in una spietata caccia al tesoro con una posta singolare: il padre che non ha mai conosciuto... Il linguaggio è limpido, trasparente, come sempre nei romanzi di Montanari” («La Sicilia»).
“Un’attenzione straordinaria allo spazio vitale del corpo, sul quale è fisso l’occhio robbe-grillettiano dello scrittore (quell’occhio che campeggia allucinato nell’acida copertina del romanzo)... Il buio divora la strada è guidato da una singolare suspense, come ovattata nel vuoto...” (Patrizia Danzè, «Stilos»).
“Montanari ha la forza, stilistica e narrativa, di inchiodare il lettore a una sedia che non è mai mentale: è capace, come pochi, di trasformare il gioco perverso della letteratura in un circuito erotico che non va mai in corto” (Gian Paolo Serino, «Il mucchio selvaggio»).

Su Chiudi gli occhi (2004)

“Montanari è uno scrittore della stessa categoria di Ammaniti” («Smemoranda Brothers & Sisters»).
“Un palcoscenico dove si rappresenta, senza copione, il fulcro della tragedia umana e delle sue miserie morali” (Fulvio Panzeri, «L’Avvenire»).
“Un thriller forte, avvolto da erotismo” (Erica Arosio, «Gioia»).
“Quattrocento pagine davvero avvincenti... la macchina narrativa, servita da una scrittura fluida e spietata, incolla il lettore alla pagina con un crescendo che alla fine deflagra in una serie di colpi di scena rivelatori” (Giuseppe Caliceti, «Liberazione»).
“Personaggi indimenticabili” (Martina Cossia Castiglioni, «Milano Finanza»).
“Una Twin Peaks lombarda” (Mariella Radaelli, «Il Giorno»).
“Ancor più che dei delitti, ci parla con maestria degli animi da cui nascono” (Alessandra Casella, «Oggi»).
“Una trama affascinante” («Il secolo XIX»).
“Un narratore che non gioca a far letteratura, ma scava senza indulgenze nei bassifondi dell’anima... con l’entusiasmo di costruire trame, situazioni e personaggi che si conquistano un posto al sole nell’attenzione di lettori” (Sergio Pent, «Tuttolibri»).
“Un timoniere che conosce perfettamente le regole per condurre la sua nave in porto... un narratore di storie piene di vita e movimento, capace di spingere la tensione fino ai limiti più estremi” (Tobias Haberl, «Der Spiegel»).
“Montanari è uno dei migliori scrittori italiani moderni” («Bild am Sonntag»).

Su La verità bugiarda (2005)

“Una Milano dove lo smog sembra avere annerito anche le coscienze... un impianto narrativo da tragedia greca” (Gian Paolo Serino, «La Repubblica»).
“Non è disegnata intorno ai luoghi delle fate, la Milano di Raul Montanari, che è anzi spietata, dura anche nei rapporti, e violenta come una brutta copia di New York” (Mariella Radaelli, «Il Giorno»).
“…dà prova di dominare la materia come soltanto i narratori di razza sanno fare, costruendo una storia tesa, nervosa, risucchiata verso la fine come la luce da un buco nero” (Luca Marchesi, «La Padania»).
“…Dentro la griglia del noir si muovono nostalgie, ricordi, amori, e soprattutto il mondo del precariato intellettuale, sempre più spesso al centro della narrativa…” (Loredana Lipperini, «Il Venerdì di Repubblica»).
“…il ritmo incalzante… inchioda il lettore alla pagina sino all'inatteso finale” (Martina Cossia Castiglioni, «Milano Finanza»).
“Ognuno sopravvive come può, con la sua verità provvisoria in un mondo provvisorio: la verità bugiarda del titolo, raccontata con passione ed emozione da Montanari, una penna che è una certezza nel panorama letterario italiano” (Alessandra Casella, «Oggi»).
“...conferma il talento di uno scrittore che gioca con le regole del giallo e del noir e che si allontana dai generi per offrire una storia moderna e avvincente che fa dell'ambiguità il filo conduttore fino al suo epilogo, sorprendente e fantasioso" (Silvana Mazzocchi, «La Repubblica»).
“Linguaggio trasparente, ingranaggi narrativi avvincenti... trecento pagine affascinanti e adrenaliniche in cui è facile perdersi ma, per le giovani generazioni, anche rispecchiarsi” («Lombardia Oggi»).
“Un thriller che coinvolge e sconvolge. Un romanzo che prende alla gola, azzanna e non molla: un libro dove i sogni del reale diventano incubi del quotidiano. La verità bugiarda consacra definitivamente Montanari... uno scrittore che ha la forza di un piccolo grande classico del contemporaneo” (Gian Paolo Serino, «Kult»).
"Un narratore esclusivo e singolare... negli anni e nelle sue storie ha trovato il modo di coniugare l'arte non semplice e non sempre scontata della leggibilità con una raffigurazione caravaggesca delle mediocrità umane” (Sergio Pent, «Tuttolibri»).
“Un noir che all'intreccio da spasmo associa il gusto dell'enigma, una spinta di fondo allo studio dell'ambiente sociale e dei sentimenti torbidi... una trama fitta di giravolte e retromarce, con sorprendenti e inattese svolte e un finale nel segno più riconoscibile di un autore che sa tenere seduto il lettore anche a riflettere” (Piero Sorrentino, «Stilos»).
“...una Milano benestante ma venata di cocaina, un ambiente fatto di contraddizioni vigorosamente scavate da Montanari e così diverse da quelle salmone & rucola degli anni '80” («Il Foglio»).
“Un narratore che ha come obiettivo la fascinazione del lettore, il suo incantamento... un nuovo titolo frutto di un appassionato sforzo d'invenzione, compiuto, al tempo stesso, con furore massimalista e lucidità” (Jacopo Guerriero, «Letture»).

Su L’esistenza di dio (2006)

“Un appassionante thriller esistenziale... un affascinante eroe tragico del nostro tempo, in lotta con il destino” (Chicca Gagliardo, «Glamour»).
“Una Milano vista, vissuta, raccontata e amatissima” (Marta Cervino, «Marie Claire»).
“Un libro che ti perquisisce l’anima: non ci sono proiettili a uccidere, ma sentimenti. Senza dubbio il migliore fra i libri di Montanari” (Gian Paolo Serino, «Repubblica»).
“...è anche un libro ricco di humour e di continui cambi di atmosfere... dietro a tutto questo, un Dio che non risponde, un Dio il cui silenzio, tra le pagine e nella vita, inizia a diventare assordante” («Kult»).
“Come ogni grande moralista, Montanari ha un solo reale interesse: la natura umana, con le sue miserie e i suoi splendori, i dilemmi etici e le aspirazioni all’assoluto; e scrive affinché questa natura si riveli pienamente, nelle sue ombre e nelle sue luci” (Sergio Garufi, «Stilos»).
“La Milano visionaria che fa da sfondo alla primavera nera del protagonista è un concentrato di vite senza un futuro certo. Montanari rincorre i suoi personaggi con una frenesia avviluppante, nevrotica... si conferma ancora una volta scrittore attento e profondo. Uno scrittore sguinzagliato, selvaggiamente onesto e vero, una sorta di sanguigno Balzac metropolitano che racconta il suo tempo con sadica disperazione” (Sergio Pent, «Tuttolibri»).

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