Caccia a Unabomber

di Tiziano Scarpa


I terroristi sono scrittori in cerca di editore. I brigatisti rossi comunicavano a colpi di pistola e ciclostile. Fare politica con la sola scelta delle vittime non bastava. Mandavano lunghi comunicati ai giornali. E a distanza di anni, anche quando hanno smesso di sparare, continuano a scrivere libri di memorie, romanzi. Nel 1995 Theodor John Kaczynski, l'Unabomber statunitense, ricattò il “New York Times” e il “Washington Post”: non avrebbe più spedito pacchi esplosivi in giro se gli avessero pubblicato il suo prolisso saggio su “Società industriale e futuro”. In Italia oggi i giornali si piegano più facilmente alle bizze degli apocalittici. A Oriana Fallaci non è stato necessario piazzare bombe per occupare intere paginate del “Corriere della Sera” con le prime versioni di “La rabbia e l'orgoglio” e “La forza della ragione”.
Che cosa vuole comunicare l'Unabomber che agisce in Friuli e in Veneto? Da 11 anni semina piccoli oggetti esplosivi nelle province di Pordenone, Venezia e Treviso senza rivendicare nulla. Non si giustifica. Non ha niente da dire. Le sue parole sono i suoi scoppi. Significano qualcosa gli oggetti che ha usato?
Primo tipo: tubi idraulici. Sparsi sotto le siepi, sul sagrato, in spiaggia: a Sacile, Aviano, Pordenone, Bibione e Lignano Sabbia doro, dal 1994 al 2000.
Secondo tipo: bombe camuffate da prodotti nei supermercati, innescate quando si aprono le confezioni. Un cartone da sei uova, un tubo di salsa di pomodoro e uno di maionese (Portogruaro, 2000). Un vasetto di Nutella (Porcia, 2002). Un flacone di liquido per le bolle di sapone (Pordenone, 2002). Merci confuse tra le merci: come nascondere un filo di paglia in un pagliaio. Il 20 novembre 2000, il sostituto procuratore di Venezia Luca Marini fa svuotare il supermercato Continente di Portogruaro. Nella notte, le merci vengono caricate su tir e portate all'aeroporto di Venezia. Migliaia di oggetti destinati a scorrere sui nastri trasportatori delle casse, per essere identificati dal codice a barre, passano sui nastri dei metal detector e dei raggi X: quasi una performance d'artista, il capolavoro di Unabomber. Ma anche la sua fase più fallimentare. È stato laborioso camuffare le bombe. Due soli oggetti su cinque sono andati a segno. Troppo pochi.
Terzo tipo: bombe innescate da timer. Uno scoppio innocuo sopra un confessionale, la notte di Natale, durante la messa (Cordenons, 2002). Esplode lo sciacquone nella toilette del tribunale, sotto l'ufficio di Domenico Labozzetta, il procuratore che stava indagando su di lui (Pordenone, 2003).
Quarto tipo (la fase attuale): bombe travestite da oggetti smarriti. Cose scontornate dal loro contesto, come dimenticate o perse da qualcuno. Oggetti che attirano l’attenzione.
Un lumino diverso da tutti gli altri in cimitero (Motta di Livenza, 2001). Un pennarello giallo, di plastica fluorescente, dal colore acido: un evidenziatore che evidenziava se stesso sul greto del Piave (San Biagio di Callalta, 2003). Un accendino nell'inginocchiatoio di una chiesa (Cordenons, 2004). Ovuli di plastica, i contenitori delle sorprese degli ovetti di cioccolato Kinder, su una centralina elettrica, per la strada (Treviso, 2005).
Che cosa non ha fatto Unabomber? Non ha compiuto attentati misogini o sessuofobici. Niente esplosivo nelle confezioni di assorbenti femminili o di preservativi.
Manca un significato nei suoi oggetti. Sono solo tattiche per far arrivare le bombe a destinazione: nelle mani di qualcuno, chiunque sia. Ne ha confezionate per adulti e per bambini. Quando un metodo si esaurisce, perché la gente ormai diffida dei tubi abbandonati o dei supermercati, Unabomber cambia strategia. Gli abitanti delle provincie di Pordenone, Venezia e Treviso sono come i personaggi di “Colonia”, un racconto di Philip K. Dick. In un pianeta appena scoperto c'è un protoplasma che sa imitare alla perfezione qualsiasi cosa: microscopi, zerbini, vestiti, automobili. Quando un essere umano usa questi oggetti, il protoplasma lo aggredisce, lo avvolge e lo digerisce. Non ci si può più fidare dei propri guanti; bisogna pensarci bene prima di infilarsi un calzino.
Unabomber non si esprime con quel che usa, ma con quel che fa. I suoi investigatori sono sconcertati dall'assenza di un movente. Vuole vendicarsi di mezzo Nord-est? Ma perché?
Si dice che sia una personalità narcisistica. Che si specchi goduriosamente nei giornali, nell'eco televisiva. Ma quale immagine gli restituiscono, i media? Una sagoma senza volto. Un Soggetto Vuoto. Nemmeno il nome ha, di originale: i pigri giornalisti italiani gliel'hanno ricalcato su un dinamitardo Usa. Un narcisismo ben strano, se si pasce di un'assenza di rispecchiamento, per di più senza nome. L'Unabomber italiano imita il destino. È una svolta fatale nella vita delle persone. Non vuole annientarle, ma segnarle. Desidera che restino vive, affinché siano costrette a ricordar- si di lui per tutta la vita. I poveretti che hanno perso occhi, dita, mani, si svegliano ogni mattina col pensiero di Unabomber: è il loro corpo sfigurato a ricordarglielo. E la loro mutilazione fa rabbrividire chi li vede: diventano rappresentanti di Unabomber, testimoni della sua esistenza.
Chi sta dappertutto e in nessun posto? Chi non ha nessun nome e molti nomi? Chi crea sconquassi quando viene a con- tatto con gli altri? Chi mutila e segna nel corpo? Dio. Stimmate (da Francesco d'Assisi a padre Pio), gravidanze indesiderate (Maria di Nazareth), spine nella carne (Paolo di Tarso), piaghe, sciagure, malattie, sofferenze di ogni tipo (da Giobbe a tutti i santi). Dio è un agente patogeno. Anche quando le cose vanno bene, si perde l'uso di alcuni organi: castità sacerdotale; tutta la pelle coperta, senza carezze. Non lo fa apposta, Dio: un essere così smisurato non può tarare la sua forza sui gracili gusci umani. Ogni suo contatto è devastante. Unabomber vuole impersonare Dio. È un essere umano che soffre di teologia.
Potrebbe essere un prete sospeso a divinis, o meglio un seminarista bocciato, un religioso che ha avuto qualche grave contrasto con la Chiesa e non può dare la comunione, non può somministrare Dio al prossimo. Alcuni attentati rivela- no un'attenzione liturgica: Natale, il giorno dei morti. Per avversione al cristianesimo, o solo perché in quelle occasioni c'è più gente? Ce l'ha con i ragazzini perché si sente colpevolmente attratto da loro? Perché hanno denunciato qualche suo abuso sessuale? Si vendica di una comunità che ha creduto ai bambini e non a lui? Sono ipotesi romanzesche. “Qui non si tratta di interpretare, ma di investigare”, ha dichiarato il capo della procura di Treviso Antonio Fojadelli.
Unabomber è sopravvalutato. Mi perdonino le sue vittime se lo dico. Ciò che hanno sofferto e continuano a soffrire, nel fisico e nell'animo, è gravissimo; quando ci penso sto male. Ma i media fanno esistere Unabomber più di quanto vale. In tutta la sua carriera, ha fatto assai meno danni di un allegro Capodanno italiano. Dal 2000 a oggi, fra pistolettate e botti, i festeggiamenti di San Silvestro hanno causato nove morti e 4 mila feriti. E gli incidenti domestici in Italia sono circa tre milioni e mezzo all'anno, il doppio di quelli stradali: 68 mila i bambini coinvolti, di cui 1.200 morti (fonte Unicef). Le cause: soffocamento da pezzi di giocattoli e cibo, cadute dal lettino, ustioni. Noi viviamo davvero nel pianeta di Philip K. Dick. A Milano è morta una piccola di due anni: il padre ha fatto un tamponamento a 20 all'ora, in città, l'airbag le è esploso in faccia e le ha spezzato il collo. Gli oggetti ci odiano. Non occorre personificarlo, il male.
Esistono milioni di Unabomber mondo. Intere nazioni. I produttori di mine antiuomo. Per esempio il modello PFM-1, i "pappagalli verdi" sparsi dai russi in Afghanistan, come ci ha insegnato Gino Strada: mine dall'aspetto di giocattoli che incuriosiscono i bambini e gli scoppiano in faccia. Il nostro bombarolo di provincia gode di troppo prestigio. Ma che cosa succederebbe se i media tacessero? Forse colpirebbe più spesso, per rinnovare il suo certificato di inesistenza divina, di Soggetto Vuoto. Ha dimostrato un'oscena emulazione del destino, negli ovuli collocati a Treviso. Uno con la bomba, l'altro con la sorpresina di plastica, una macchinetta da assemblare. Uno accanto all'altro, indistinguibili. Che cosa sarebbe accaduto se il suo piano fosse riuscito? Due ragazzini aprono ciascuno la propria sorpresa. Un ovulo scoppia, l'altro no. Una mamma reprime un pensiero orribile: perché la bomba non è finita in mano all'altro ragazzino, invece che a mio figlio?
La mattina del 26 gennaio, a Treviso, i due ragazzi di seconda media che stavano andando a teatro con la loro classe, si sono salvati perché non hanno eseguito le istruzioni per l'uso implicite negli oggetti. Non hanno aperto la sorpresa. L'hanno gettata per terra e ci hanno giocato a calcio. L'hanno “pensata con i piedi”, avrebbe detto Osvaldo Soriano. Un tiro più forte, e la bomba è esplosa contro un muretto. Sono andato in via Verdi. La centralina elettrica dove erano posati i due ovuli è alta: più di un metro e 50. A me arriva al collo. A pochi passi, ci sono varie colonnine della Telecom, alte un metro, quelle sì a portata di mano per un bambino. Ho parlato con gli abitanti. Non hanno dubbi: “È un gesto di sfida al Tribunale”. Il palazzo di Giustizia di Treviso è a 200 metri, all'angolo con viale Appiani. Lì intorno si vedono tabelloni pubblicitari di un centro dimagrante. Uno sta proprio di fronte alla centralina elettrica. I creativi dell'agenzia di pubblicità avevano fatto gli spiritosi: “Kilo ha preso? Kilo ha perso!!”,c'è scritto sui cartelloni. Ki ha preso Unabomber? Ki lo ha perso?
In quei giorni Mediaset mandava in onda uno sceneggiato su di lui. E la procura di Treviso ha “perso” Unabomber nel 2003, quando è stata decretata la finalità terroristica delle sue azioni e le indagini venete sono state unificate presso la procura generale di Venezia. Ki mi ha preso? Ki mi ha perso? Unabomber ci sfotte.


Da “l’Espresso”, 10 febbraio 2005, pp. 74-76.

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