Intervista a Tiziano Scarpa - Cos’è questo fracasso? -

Una cultura della descrizione, una scrittura che coglie la vitalità, un’anima linguistico-psichica che si unisce in un atto amoroso con la lingua italiana e sprigiona “una polpa di vicende fantastico- realistiche” tra pensieri, divagazioni e visioni. Tormenta, sciabordio,tempesta, dicelui.

“Cos’è questo fracasso?”… “Mi spaventa e quindi mi intenerisce (…). Mi fa paura e quindi mi fa innamorare (…). Mi mette in ansia e quindi mi consola (…)”.
“La scrittura è cosa della vita. Alfabeto, segno. Intemperanza, eccesso”.


 


Oggi, in termini di mercato, vende solo la narrativa. Allora fare il narratore equivale ad essere scrittore, concedendosi semmai qualche incursione nei vari generi letterari?

Sembra che nella nostra epoca abbia vinto la narrativa. Spesso anche nei giornali compare una curiosa espressione “scrittori e poeti”, come se i poeti non fossero scrittori. Il re è il romanzo, poi ci sono il duca-racconto e la poesia, lavandaia di corte. Questa è la mentalità della nostra epoca, ma la scrittura è più grande, più ampia del romanzo. Io faccio scrittura e può trattarsi di un romanzo, di un racconto, di un testo in versi, di un articolo di critica. Non è che esca dal romanzo come da un fortino per fare delle incursioni.

E il suo esordio nel “mestiere”?

Ho sempre saputo che avrei voluto scrivere e l’ho sempre fatto, passando attraverso varie fasi di maggiore o minore frequentazione di un genere piuttosto che di un altro. Ho iniziato a pubblicare a vent’anni sceneggiature di fumetti che sono stati realizzati e anche tradotti. E’ un po’ grottesca tutta quella mitologia dell’esordiente dove sembra che per pubblicare sia necessario conoscere qualcuno a cui dispensare favori…

L'antologia pubblicata da Einaudi “Gioventù cannibale”, che ha diffuso la categoria “scrittore cannibale”, è stata un’operazione commerciale legata all’esordio di alcuni giovani o si è trattato di un altro genere di fenomeno?

Non è stata un’operazione commerciale perché in Italia le raccolte di racconti di autori giovani e sconosciuti, come lo erano tutti cinque anni fa, non interessano a nessuno. Invece ha avuto successo perché ha colto una vera temperie sociale, culturale, politica. Questa è stata la sua forza e se così non fosse, altre centinaia di libri avrebbero avuto successo.

Nella comunicazione letteraria, dare definizioni, in un certo senso etichettare, serve per trasmettere messaggi con un codice condiviso?

E’ sempre stato così nella storia. Ad esempio i decadenti erano definiti in tale modo dai nemici, dai critici, da quanti dissentivano ed essi con fierezza hanno assunto questa etichetta. Le etichette nascono così, certo poi sono banalizzanti, ma come può non esserlo una parola sola?

Il mezzo che utilizza influenza il messaggio?

Il messaggio è il mezzo…Quando scrivo ho un’idea piuttosto vaga su dove arrivare e tutto brucia, germina, sboccia, nell’istante in cui batto i polpastrelli sulla tastiera. L’operazione di scrittura non è una noiosa verbalizzazione di ciò che ho dentro di me. La mia anima logo-psichica amalgamandosi in un atto d’amore con la lingua italiana, sprigiona una storia, una serie di visioni, delle divagazioni, dei pensieri, degli aforismi,…una polpa di vicende fantastico-realistiche che “accade” nel momento in cui mi confronto con la lingua italiana. In tale senso il mezzo non solo influenza, ma nutre e sprigiona il messaggio.

E’ anche una via di fuga dalle etichette?

Sì…nel senso che non so cosa accadrà. Per questo scrivere è un’attività vitale. E’ chiaro che abbia un’idea generale della storia e mi ponga domande su cosa sia giusto anche artisticamente e politicamente raccontare. Una guerra o una storia d’amore? Una vicenda accaduta in un posticino o riguardante un’intera nazione? Poi sono io il primo incuriosito da ciò che uscirà da questo amplesso con la lingua italiana. In tale senso sfuggo alle etichette.

In quale esperienza letteraria il suo messaggio si è rivelato più incisivo?

Il libro scritto con Raul Montanari e Aldo Nove, “Nelle galassie oggi come oggi”, è stato un’esperienza di felicità compositiva e gioia totale di scrivere. Anche un altro libro mi è molto caro, quello su Venezia, “Venezia è un pesce”. Trovo pieno di passioni, sarcasmo, analisi, “Cos’è questo fracasso”. Poi c’è la narrativa…insomma mi piace tutto! E’ certo che le ultime cose fatte siano sempre le più care.

Nel libro con Montanari e Nove, “Nelle galassie oggi come oggi”- edito da Einaudi nella collezione di poesia - avete riscritto in versi testi di canzoni che vanno dal rock al punk al pop. Le cover come un novello cavallo di Troia per muoversi attraverso la galassia poetica?

La musica ha la capacità di far muovere, andare verso il fare e così è stato anche per noi. Ci ha mossi, agitati ed è nata la voglia di scrivere. Poi è vero che questa cosa è diventata un cavallo di Troia, nel senso che abbiamo fatto circa quaranta serate-performance di un’ora e più di versi, coinvolgendo anche mille persone a sera, ma se avessimo detto “serata di poesia” forse saremmo rimasti soli!

Ascolta musica mentre scrive?

Dipende…In ogni caso, non è importante cosa ascolto quando scrivo, ma cosa scrivo mentre ascolto!

E quando scrive, pensa a un lettore, a un referente in particolare?

Penso agli scrittori morti, agli scrittori che devono ancora nascere e a tutti gli uomini vivi.

“Il mestiere di scrivere” sembra oggi affascinare tanti giovani, interessati all’esperienza delle scuole di scrittura creativa…

Quando si parla di questi corsi, non è tanto importante chiedersi dove vanno, ma da dove vengono, perché ci sono persone che li frequentano piuttosto che iscriversi al corso di karate o di ceramica…O anche la letteratura è diventata uno dei tanti corsi dopo la palestra? Forse, ma è certo che la scrittura rimane un forte luogo politico. E’ l’individuo disarmato. Solo contro tutti dice come la pensa. E nella nostra epoca l’uno contro tutti c’è solo nella letteratura.

Nel laboratorio di scrittura creativa tenuto a Varese per il “Premio Chiara Giovani”, lei ha proposto un esercizio particolare…

Ho proposto di “copiare dal vero” una modella, un esercizio diffuso nei licei artistici e negli istituti di Belle Arti, ma che nessuno dei ragazzi aveva fatto con la scrittura. E’ stato un confronto con la realtà, un’esperienza nuova che ha dimostrato la necessità di un’educazione alla prassi della scrittura, oggi troppo espressiva e soggettiva. Manca una cultura della descrizione, una scrittura che colga la vitalità. Così ho chiesto ai ragazzi di descrivere quello che vedevano fuori. E’ un dato per cominciare.

Qual è il suo “buen retiro”, il luogo caro dove scrive?

Scrivo sul tavolo di cucina. Mi piace perché lì passano tante cose, si mangia, si scrive, si tagliano le verdure…a volte si scambiano gesti affettuosi. E’ un luogo molto vitale. E’ bello pensare che oltre a tagliare pomodori, darsi dei baci e riempire di briciole la tovaglia, “accada” la scrittura, un altro fatto vitale. Un fatto della vita.

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