Tiziano Scarpa – Il lungo viaggio di Ulisse - 15 gennaio 2002

Puntata realizzata con gli studenti del Liceo “Cartesio” di Giugliano

STUDENTESSA: Ringraziamo il nostro ospite Tiziano Scarpa di aver accettato il nostro invito; prima di iniziare la discussione vediamo insieme una scheda filmata.

Attraverso il lungo viaggio di Ulisse verso Itaca, verso la patria, attraverso le sue peregrinazioni, in un mare, di insidie, la cultura dell'Occidente ha elaborato uno dei suoi miti più significativi. Dante, Eliot, Melville, Joyce e molti altri scrittori, poeti, filosofi d'Occidente tornano a notare questo lungo viaggio dello spirito umano, l'unico arco di una vicenda plurimillenaria, la matassa del mito. Aggiungono parole e immagini. Così il viaggio di Ulisse, l'eroe dalla mente accorta, si sviluppa all'infinito. Ulisse non può stare, non può mettere radici, non può darsi in riposo. Deve costantemente prendere congedo, deve conoscere il dolore della separazione, rompendo la quiete che provvisoriamente ha riconquistato, riaffidandosi al mare. E il mare è lo spazio aperto delle sue avventure. "Grande specchio della mia disperazione" dice Baudelaire. Dal mare vengono tutti i pericoli, ma anche tutte le possibilità di conoscenza. Il mare, il terribile e meraviglioso Mediterraneo insidia la vita, ma al tempo stesso la rimette in gioco. Il mare rimescola le carte della vita, le confonde, ma consente anche nuove e ricche combinazioni. Il lungo viaggio di Ulisse è il viaggio dell'Occidente, la sua irrequieta erranza attraverso il tempo e lo spazio ai confini della vita e della morte. "Siamo noi stessi” - ha detto Joseph Conrad – “trasportati dall'audacia delle nostre menti e dai tremori dei nostri cuori”.

STUDENTESSA: Perché la figura di Ulisse ha assunto un'importanza maggiore rispetto alle altre figure della letteratura antica?

SCARPA: Questo è un quesito decisivo perché, effettivamente, la mitologia greca, che poi è stata sviluppata anche in ambito romano-latino, offriva decine e decine di eroi. Ma io sono convinto che la risposta sta nella vera storia raccontata dall’Odissea, che non descrive Ulisse come uno che parte, fa la guerra e torna a casa, ma racconta di un uomo con uno struggente desiderio di mortalità. Nell’opera si racconta di Ulisse fermo sull’isola di Ogigia che si dispera per non avere una nave che gli consenta di tornare a casa e nonostante l’offerta della ninfa Calipso di eterna giovinezza, egli preferisce essere un uomo mortale, ma tornare in patria. Non ne vuol sapere di diventare un Dio, un immortale. Forse è questo che ha affascinato moltissimo l'Occidente; questa scelta di essere mortale, di tornare a casa, di rivedere suo figlio, la moglie, anche rischiando la vita, piuttosto che essere assunto in una noiosa immortalità senza vecchiaia, ma senza avvenimenti. Ulisse non ne vuol sapere di stare in Paradiso. Preferisce la terra.

STUDENTESSA: Come viene interpretata oggi la figura di Ulisse? Ed è tuttora significativa la lettura che ne dà Dante?

SCARPA: Potrei rispondere alla Sua prima domanda con un’altra domanda: “come dovremmo leggere noi le opere del passato?” A questo proposito uno studioso famoso si chiedeva: “dovremmo leggere l'Odissea vestiti con un manto greco oppure dovremmo indossarli tutti, ossia quello greco, poi quello dantesco, quello medioevale, poi dobbiamo metterci un farsetto settecentesco e poi un cappottone novecentesco?”. In sostanza, la domanda è: “dobbiamo leggerlo consapevoli di tutte le stratificazioni storiche?”. Ebbene, nonostante oggi si tenda a leggere l’opera omerica alla luce della cultura greco-arcaica che l'ha prodotta, c’è da dire che nel Novecento Joyce ne ha fatto una lettura straordinaria. Ha scelto un giorno a Dublino, il 16 giugno del 1904, giorno tra l'altro in cui lui ebbe il primo appuntamento con la sua fidanzata che poi divenne sua moglie, Nora Joyce, narrando questa giornata di Leopold Bloom e di Stephen Dedalus ripercorrendo le tappe di Ulisse in controluce. Egli descrive di eventi molto banali che paragona a quelli del viaggio di Ulisse, però inseriti in una giornale normale e in una città moderna come se fosse una straordinaria avventura mitica. In questo modo Joyce ha voluto dire che la vita è molto ricca e complessa anche nelle nostre città e vivere una giornata moderna equivale, come ricchezza di esperienza, a vivere l'Odissea. 
Dante invece stravolge l'eredità omerica poiché esalta Ulisse come un eroe affamato di avventura, rifiutando l’idea di un eroe desideroso solo di tornarsene a casa dalla moglie.

STUDENTE: In che modo la figura di Ulisse può essere accostata a quella del superuomo?

SCARPA: In realtà Ulisse non ne vuol sapere di essere superumano, cioè non ne vuol sapere di essere immortale, ma anzi sceglie la mortalità, l'umanità piena, la casa, il padre, il figlio. Sappiamo delle struggenti scene che avvengono a Itaca quando lui trova la sua nutrice Euriclèa, quando si commuove nel rivedere il cane Argo, il pastore Eumèo, il figlio Telemaco. Tutto questo ci descrive un uomo che è il contrario del superuomo. È vero che abbiamo in mente il superuomo nietzschiano che, parlando del mare, dice: "non è mai stato così aperto il mare come oggi", oppure quando, descrivendo l'avidità d'avventura di Zarathustra, dice: "da oggi il mare non è stato mai così aperto e spalancato", ma il mare, per Ulisse è un mare chiuso, un ostacolo, un impedimento a tornare a casa. Egli non lo ama, così come non ama andare in giro a vedere cosa succede tra queste genti strane che incontra. Solo una volta dice ai suoi compagni: “… andiamo a vedere qui chi c'è, che genti ci sono, se amano gli Dei, se ne sono timorosi o se invece sono selvaggi". E questo, quasi come un castigo, gli frutta l'avventura di Polifemo perché, se non avesse deciso di andare in giro a vedere qual era la gente che abitava quella terra, non avrebbe perso molti dei suoi compagni, mangiati cannibalescamente dal ciclope. Solo quella volta lui fa il superuomo spinto dalla curiosità, altrimenti tutte le altre volte le genti che incontra, le incontra o per farsi dare dei doni, per procurarsi il cibo o solo casualmente.
Ma lui non si comporta mai come un avventuriero superumano.

STUDENTESSA: Secondo Lei Ulisse è un uomo che tende ad abbattere i confini, intesi come limiti della conoscenza, o a mantenersene all’interno? 

SCARPA: Io lo vedo come un eroe che percorre il confine. Pensiamo alle sirene. Che modo c'è per ascoltare le Sirene? Se le ascolta libero muore perché viene risucchiato e se si mette i tappi di cera non le conosce. Dunque Ulisse è un eroe che percorre proprio il confine.
Non è corretto il paragone, però, c'è un Canto del Purgatorio in cui Dante è in un gradone del Monte del Purgatorio per interagire con i lussuriosi, ma per poter conoscere la lussuria e il vizio deve percorrere un sentiero strettissimo tra il fuoco e un precipizio. Qui egli deve stare sul confine altrimenti viene bruciato se si avvicina troppo o cade giù se se ne allontana.

STUDENTESSA: A proposito di quello che stiamo dicendo vorremmo proporLe un brano tratto dall'Odissea di Franco Rossi che si riferisce appunto all'episodio delle Sirene. 

ULISSE: “Legami qui. Ben stretto, con questa fune. E resta vicino. E ricorda, per quanto io ti implori e con gli occhi ti chieda di slegarmi, tu non mi ascolterai, anzi ancora di più dovrai stringere le corde”.
SIRENE: “Vieni da noi. Ti mandiamo la fama tra gli uomini. Rifiuta l'invidia del male, il declino del corpo”.

STUDENTESSA: A partire da questo episodio non crede che l'importanza di Ulisse sia proprio nel fatto di spostare i confini della conoscenza?

SCARPA: Sì. Tra l'altro questo episodio nella regìa di Franco Rossi era reso molto bene, perché il testo omerico non ci descrive le Sirene. Le Sirene sono pura voce e ciò che promettono ad Ulisse è l'ascolto di un canto dolcissimo e nient'altro. Sono descritte da Circe come donne molto affascinanti, contornate o affiancate da scheletri. Sono le signore della morte e il loro canto è così seduttivo da negare l'evidenza della rovina, della distruzione, della morte. Ulisse si lascia coinvolgere, ma non bruciare e annullare dalla conoscenza. 

STUDENTESSA: Nell'episodio delle Sirene Ulisse sceglie di farsi legare, ma non permette ai suoi compagni di ascoltare il canto al quale lui stesso però si vuole sottoporre. Dunque è "l'uomo della sapienza", come lo definisce Giambattista Vico. Prova se stesso, ma impedisce agli altri in questo caso di mettersi in gioco e di mettersi alla prova. È così? E, se è così, perché? 

SCARPA: Si. Ulisse si configura come l’intellettuale pedagogo che, un po' anche nel Novecento, è stato individuato alla testa di alcune rivoluzioni come quello che poteva scegliere per il popolo e al posto del popolo, decidere cos'era giusto e cos'era sbagliato, cos'era buono e cos'era cattivo. Nel nostro tempo attuale questa figura È rappresentata dai sapienti intellettuali che, di fronte a scene violente o di sesso proposte dalla televisione, possono decidere di guardarle perché dotati di una capacità critica che altri non hanno. È come se dicessero a coloro che sono sprovvisti di strumenti di difesa, di tapparsi le orecchie altrimenti potrebbero rovinarsi. Sono i sapienti, oggi, a decidere chi ascolta e chi no, chi certe cose se le può godere e chi no.

STUDENTESSA: Ulisse in questo forte contrasto con sé stesso, trova difficoltà a resistere. Infatti, mentre da una parte era consapevole che le Sirene lo avrebbero condotto alla morte e dunque a non tornare più in patria, dall’altra avrebbe voluto cedere al loro canto. Qual’è il messaggio che ci vuole trasmettere Ulisse?

SCARPA: Nel comportamento di Ulisse si riconosce una contraddizione, una scissione, una volontà che viene frenata, una consapevolezza di ciò che è bene e di ciò che è male, di ciò che è pericolo e di ciò che è tranquillità. Ma, anziché il pensiero di Ulisse, mi sembra che il racconto omerico risalti maggiormente il comportamento dell’eroe. Si tratta di un modo di narrare americano, comportamentista, behaviorista. Behavior, comportamento, dove non si va dentro la testa delle persone ma, si descrivono gli atti, i gesti, i comportamenti, le conversazioni, come le sceneggiature hollywoodiane. 

STUDENTESSA: È possibile leggere il viaggio di Ulisse come un viaggio di purificazione dalle passioni?

SCARPA: Quando torna a Itaca, Ulisse dimostra di non essere una persona molto accomodante con i Proci che, come sappiamo, aspiravano a sposare Penelope. Anzi, con una spietatezza totale, li uccise tutti aiutato dal figlio e dal pastore Eumèo. Successivamente però è costretto a scendere a patti con i parenti dei Proci sterminati, poiché sprovvisto di una forza militare tale da affrontarli. La lettura di questi episodi potrebbe essere quella della purificazione dalle passioni. Egli conquista l’umanità dopo un viaggio di purificazione, riuscendo così a conquistare le passioni della vita e a farle proprie.
Un po’ come Pinocchio che, dopo un viaggio di purificazione da immortale, perché è un pezzo di legno, alla fine si conquista l'umanità e le sue passioni.

STUDENTESSA: È vero che Ulisse vuole vivere le passioni, però le vuole anche superare?

SCARPA: Sì, anche questa potrebbe essere una chiave di lettura della figura di Ulisse, ma come vedete, ha una tale ricchezza questo mito che consente davvero tantissime interpretazioni. È questo il suo fascino. 

STUDENTESSA: Che cosa rappresenta il mare nell'Odissea, il luogo del pericolo, delle avversità oppure il luogo della conoscenza?

SCARPA: Nell’Odissea il mare è un luogo di caos che impedisce a Ulisse di tornare a casa; esso conta solo come accumulo di tappe, di divagazioni, di enorme pericolo, di naufragi continui. Infatti sono assenti le scene di godimento paesaggio e non c'è una felicità per la bellezza del mare. L’opera omerica narra così poco del mare che gli stessi commentatori moderni hanno incontrato serie difficoltà nel tracciare sulla mappa il vero viaggio di Ulisse. Samuel Butler, che alla fine dell'Ottocento diceva che l'Ulisse era stato scritto da una donna, per le moltissime figure femminili umane e bellissime descritte nell'Odissea, sosteneva che il viaggio di Ulisse era semplicemente la circumnavigazione della Sicilia. Altri erano convinti che fosse arrivato fino alla Sardegna e poi allo Stretto di Messina, mentre, per Dante, giunse addirittura allo Stretto di Gibilterra per poi continuare nell'Oceano Atlantico. Ebbene l’itinerario del viaggio di Ulisse deve la sua costruzione alla sensibilità moderna, poiché quello che viene descritto da Omero è semplicemente un accumulo di tappe piuttosto vaghe, astratte, dove il mare viene visto come semplice connettivo tra un'avventura e l'altra. 

STUDENTE: Ed oggi qual'è l'immagine più rappresentativa del viaggio?

SCARPA: Forse è il respiro enorme di provare tutto come Ulisse. Mi viene in mente lo scrittore francese Louis Ferdinand Céline che nel suo libro Viaggio al termine della notte ha affrontato questo respiro enorme descrivendo, con verismo linguistico estremamente brutale, una disperata satira della vita umana. Il personaggio principale si reca in Europa durante la Prima Guerra Mondiale; in Africa poi conosce il colonialismo e in America il capitalismo. Successivamente torna in Europa dopo aver conosciuto in Africa la sopraffazione colonialistica, la schiavitù, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e dopo aver conosciuto la condizione delle classi operaie nell'Europa. La letteratura di oggi invece manca di questo enorme respiro. Negli ultimi vent'anni abbiamo assistito a storie un po' piccole, minime, che parlano di casa. È come se la nostra letteratura recente preferisse raccontare solo la parte di Itaca.

STUDENTE: Come guarda l'Odissea uno scrittore d'oggi e quanta influenza essa ha avuto sulla formazione del suo linguaggio?

SCARPA: La guardo con invidia ovviamente per il grande respiro, fantasia e l'enorme possibilità di vivere delle avventure. Come influenza il mio linguaggio? Non lo so, proprio per la sfida che mi pone a pensare in grande, a pensare alla storia e al racconto come esperienza totale, come esperienza proprio dell'attraversamento dell'universo intero, per quanto possibile, con le mie deboli forze.

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