- L'italianità secondo Tiziano Scarpa -

2 gennaio 2001

Puntata realizzata con gli studenti del Liceo Classico "Aristofane" di Roma 

  1. L'identità nazionale è flessibile?
  2. Come si spiega l'esistenza di movimenti nazionalisti che sfociano nel fanatismo?
  3. Cultura di massa e identità nazionale
  4. Gli scrittori hanno contribuito alla formazione di una identità nazionale?

Studente: Siamo al Liceo Classico "Aristofane" di Roma. Oggi parleremo dell'identità italiana ed è qui con noi Tiziano Scarpa scrittore, che ringraziamo. Ora vediamo una scheda filmata che ci introduce all'argomento.

Nelle testimonianze degli scrittori di questo secolo la coscienza di essere italiani si affaccia a volte, d'improvviso, come un'esperienza, tutt'altro che scontata, di momenti storici particolari. Si tratta, a volte, di un'esperienza personale, ma più spesso è un'intera generazione a rendersi conto di essere italiana. Inoltre, se prima essere italiano era secondario rispetto all'essere romani, siciliani o veneti, oggi non si può parlare di essere italiani senza tener conto che siamo anche molto americani, un po' giapponesi, sempre più arabi e ovviamente europei. Eppure non si può dire che l'Italia sia fondata prima di  tutto su riti e miti nazionali, di carattere politico o nobile. Un italiano non è uno che sa l'Inno di Mameli o si inchina all'Altare della Patria o sa a memoria i primi dieci Articoli della Costituzione, ma l'italiano è piuttosto uno che ricorda il gesto di Tardelli alla Finale dei Mondiali di Spagna o che sa cantare il testo della "Canzone del sole" di Battisti. L'Identità è anche fatta di folklore e di pratiche basse. Ha sempre meno a che fare col sangue e il suolo, se presenta come un elemento da apprendere e da utilizzare. Ma allora come spiegare i rigurgiti nazionalisti, le intolleranze, le improvvise e violente chiusure di alcune parti dell'Italia? Davvero l'identità nazionale è ormai uno strumento flessibile e adattabile, un pezzo di noi che possiamo così facilmente mettere in comune e a confronto con gli altri?

STUDENTESSA: Riprendendo l'ultima parte della scheda, secondo Lei, davvero l'identità nazionale è uno strumento così flessibile? E, in poche parole, italiani si nasce o si diventa?

SCARPA: Mi hai fatto due domande, allora: l'identità italiana è una cosa flessibile? Sì. Mi sembra che l'abbiamo visto. Forse per Voi in questi anni, non lo so, perché è un po' un dato di fatto, un paesaggio che sembra naturale. Ma, per esempio, il fatto che ora sia molto importante il festival di Sanremo ..., io ricordo che da piccolo Sanremo non era così importante per noi. Non si cominciava mesi prima a sapere quali erano i cantanti invitati, non durava così tanto tempo. Miss Italia, per fare un altro esempio di questo tipo, non era affatto così importante come cerimonia mediatica. Di calcio non si parlava così tanto. Non c'era una partita al giorno e non si discuteva di calcio tutta la settimana. Questo a Voi magari può sembrare molto marginale, però sono cose che fanno parte dell'identità italiana, sono dei momenti di ritualità e di godimento, di piacere di una comunità. Che cos'è una nazione? Probabilmente una nazione è - ha detto qualcuno - il modo in cui una comunità organizza il suo godimento, godimento che si può condividere, che si può provare tutti insieme. Quindi Tu mi chiedevi se l'identità è flessibile. Sì, perché le forme in cui noi organizziamo il nostro godimento, non il nostro godimento privato, ma il nostro godimento comunitario varia. Quando noi vediamo il gesto di Tardelli, che urla, perché ha segnato il due a zero contro la Germania, nella finale del Mondiale di Spagna, proviamo un godimento, che un po' è memoria e un po' è orgoglio nel presente, orgoglio di essere italiani, di aver vinto un mondiale e di far parte di qualcosa, di un filo azzurro di quella maglia, di una piega di quell'urlo da ossesso di Marco Tardelli, una piega della pelle,  un po' di decibel mentalmente di quell'urlo li mettiamo anche noi. Ci dà piacere, ci dà onestamente piacere, anche se magari della patria, del patriottismo ci interessiamo poco. E questo non è, come posso dire, nato da solo. C'è chi decide di mostrare, rimostrare, farci provare in continuazione e sempre ricorsivamente questo godimento,  di essere italiani, e preferisce farcelo provare, questo godimento, che so, attraverso l'immagine di Tardelli, attraverso Sanremo, attraverso Miss Italia piuttosto che in altre forme.

STUDENTESSA: Allora  se l'identità nazionale sta diventando così flessibile, come si spiega l'esistenza di movimenti nazionalisti che sfociano nel fanatismo?

SCARPA: I movimenti nazionalisti sono di vario tipo. Il filmato che abbiamo visto li identificava quasi automaticamente, come movimenti di estrema destra. I movimenti nazionalisti, nel loro estremismo, nella loro forma più clamorosa, spettacolare, spesso sono formati da persone  il cui godimento comunitario, si esprime attraverso forme violente che deriva da una grande coscienza antagonistica e di forte violenza. Purtroppo non è diffuso in Italia un nazionalismo moderato che possa toccare il cuore degli italiani con altrettanto pathos, con altrettanta emozione. Infatti quando noi parliamo di nazionalismo viene quasi automatico pensare a estremismo, violenza, gruppuscoli, extraparlamentari, manifestazioni molto urlate. Dovremmo, secondo me, riuscire a inventare un nazionalismo più festoso, urlato, felice. Non necessariamente patria significa bracci tesi, abbiano essi il palmo chiuso a pungo o aperto.

STUDENTESSA: Scusi, io volevo sapere: ma nel processo di formazione dell' identità italiana, che ruolo assumono la cultura popolare e quella di massa?

SCARPA: Un ruolo grandissimo. La cultura popolare, secondo me, è più una cultura locale. L'Italia è sempre stata rappresentata, almeno al Nord, da Bologna in su, come un'Italia cittadina, urbana. Infatti, se ci pensate, noi tutti italiani, proviamo piacere, anche se non capiamo bene cosa voglia dire, ad assistere  al Palio di Siena. Cos'è il Palio di Siena? E' una gara di cavalli, dove, come sapete perfettamente, varie contrade, per noi che non siamo senesi, almeno non credo che qui ci siano dei senesi molte contrade - già il nome contrada è un po' un fossile -, investono un esagerato pathos emotivo in una corsa di tre giri, anche fatta con mezzi molto antiquati, perché non hanno nemmeno le selle, eccetera, attorno alla piazza del Paese, della città. Beh, una cosa alquanto curiosa. Come mai diventano così pazzi i senesi? Eppure gli italiani soprattutto mediaticamente, nel corso di questo secolo, partecipano a questo evento che accade a Siena, perché è un po' il simbolo della forte coscienza cittadina che ha l'Italia, soprattutto per motivi storici - i comuni e quindi la struttura che si è venuta formando soprattutto nel Medioevo - della coscienza cittadina locale. Siena quel giorno o quei giorni -, perché il palio, come sapete, si svolge più volte d'estate - diventa un po' quasi il simbolo dell' essenza dell'anima italiana, sparpagliata in centinaia di città. Un senese non sen ..., non si sente necessariamente toscano, aretino, fiorentino, pisano. Anzi, come sapete ci sono  moltissimi antagonismi, che poi, in altre forme, con altri riti si celebrano nei cosiddetti "derby regionali", quando, che ne so, non solo la Roma gioca contro la Lazio. Potrebbe essere una sorta di palio romano, quello calcistico, ma anche quando il Verona gioca contro il Vicenza e via dicendo. Quindi prima di tutto è una questione molto  articolata pensando che l'italia ha questa rappresentazione di se stessa in cui è molto forte l'essenza e la coscienza cittadina. E poi c'è anche il discorso che senz'altro i media, i mass media, hanno contribuito a esasperare e a moltiplicare il riverbero di questa rappresentazione che l'Italia ha di se stessa. Però, per dei motivi quasi automatici, è ovvio che quando parliamo di mass media parliamo soprattutto di televisione. E la televisione che archivio ha a disposizione? Ha a disposizione se stesso. Quindi è soprattutto un'Italia degli ultimi cinquant'anni quella che noi rivediamo in continuazione, è l'Italia del dopoguerra, è l'Italia soprattutto fatta dei presentatori televisivi, dei telegiornali, dei cantanti, degli attori e ma soprattutto degli attori che hanno partecipato a trasmissioni televisive. E' una specie di autorappresentazione dell'Italia degli ultimi cinquant'anni - e vedo lì anche Carosello, che forse Voi avete fatto in tempo a vederlo solamente negli ultimi anni  ma non credo  nemmeno. Anzi -, a vedere, ma era senz'altro uno dei riti serali cardine, che hanno accompagnato l'infanzia italiana - lo sapete benissimo, probabilmente, che una volta un refrain, un ritornello dei genitori era: "A letto dopo Carosello". Quindi è soprattutto un'Italia mediatica e televisiva, che ha a disposizione un archivio, che si riferisce sempre solo a se stesso.

STUDENTESSA: Mi scusi, secondo Lei, quanto invece gli scrittori italiani hanno contribuito alla formazione di una identità nazionale?

SCARPA: Pochissimo, senz'altro pochissimo. Mi viene in mente un bellissimo aneddoto che ho sentito raccontare da Enzo Siciliano su Elsa Morante. Un giorno sentì che tutta Roma era in festa perché aveva vinto la Nazionale di calcio. Ed Elsa Morante commentò tutto il frastuono di clacson e bandiere, che venivano sventolate per le strade dicendo: "Ma cosa stanno facendo? Stanno forse festeggiando l'uscita dell'ultimo libro di poesie di Sandro Penna?". Enzo Siciliano lo  aveva interpretato come una specie di ascetismo eremitico. In quel periodo Elsa Morante era talmente concentrata nella sua scrittura, che prendeva un po' fischi per fiaschi.  Forse,  ma Io non ho avuto il privilegio di conoscerla, che fosse invece un commento ironico. Immaginate un mondo in cui, che ne so, un'intera città, tutta Roma, scende in festa, per le strade, con i bandieroni e i clacson, per festeggiare l'uscita dell'ultimo libro di poesie di Giudici, Mario Luzzi o Andrea Zanzotto. Sarebbe veramente quasi uno scenario da fantascienza. Ma purtroppo cosa succede? Che gli scrittori vengono insegnati a scuola e quindi sono monumentalizzati. Gli scrittori non sono, gli scrittori, un po' meno gli artisti e sicuramente meno i registi, anche loro artisti visivi, dicevo gli scrittori sono materia di insegnamento. E quindi, se è vero che una nazione è il modo in cui una comunità organizza il proprio godimento, beh non so quanto Voi consideriate o considerate la scuola una forma di godimento. Quindi il fatto che gli scrittori siano materia di insegnamento, quindi dovere, che ci sia qualcuno che ti dica che è necessario e abbia anche degli strumenti di punizione, beh, ma questo è il contrario del godimento, secondo me. Quando andate a vedere un film o  andate a ballare o a una festa o semplicemente a fare una passeggiata, nessuno Vi interroga o Vi chiede conto il giorno dopo della Vostra passeggiata o della Vostra festa, del film che siete andati a vedere al cinema. Il godimento non presuppone, per così dire, di chiedere conto. Gli scrittori con la loro forza minoritaria hanno contribuito a formare una classe intellettuale, che è quella che adesso magari non tiene conto, completamente, la classe intellettuale al potere forse. Sì, di Pasolini, per esempio,  si parla molto, tutt'oggi. E' lui all'origine dei nostri discorsi,  su che cos'è l'Italia, quali pezzettini d'Italia, immagini d'Italia noi portiamo dentro noi stessi. C'è da dire che, per esempio, i pubblicitari usano molto l'insegnamento degli scrittori, degli artisti in genere, che hanno inventato dei modi di essere convincenti e persuasivi, però sempre entro piccoli gruppi di lettori. Per esempio l'invenzione dei manifesti, della persuasione, della propaganda politica, è stata fatta da poeti, artisti nazionalisti, come Majakoskij in Russia, come nei futuristi in Italia, che hanno inventato,  moltissimi dei sistemi di persuasione che oggi usa la pubblicità. D'Annunzio ha inventato moltissimi dei modi retorici per persuadere le masse, che poi sono stati utilizzati da Benito Mussolini e dai gerarchi fascisti. Però, come posso dire, gli scrittori sono sempre utilizzati, caso mai, in seconda battuta. Le invenzioni che hanno gli scrittori e gli artisti entrano magari una generazione dopo, due generazioni dopo, e vengono usati dalla propaganda o dai pubblicitari, senza badare alla loro origine, che era artistica e letteraria.

STUDENTE : Molte statistiche dicono che gli italiani leggono poco. Ora, secondo Lei, questo fatto può essere considerato anch'esso indice di un'identità nazionale debole?

SCARPA: Attenzione la cultura non è solo lettura. Raffaele La Capria diceva che forse noi abbiamo il culto della della bella giornata. E quindi forse un pochino anche per quello leggiamo poco. La cultura è anche godere del paesaggio, avere ... Non dimentichiamo che i grandi viaggiatori italiani ..., stranieri, che venivano in Italia per il celebre Grand Tour, più che leggere i nostri testi, leggevano il nostro paesaggio, godevano del paesaggio ..., interrogavano le rovine. Pensate all'immagine celebre di Füssli, l'artista disperato di fronte alle grandi rovine del passato è un artista in posa un po' enfatica, un uomo che proprio enfaticamente impersona la posa della disperazione di fronte ai resti, al piedone e al testone della statua di Costantino, oppure pensate anche agli schizzi molto brillanti, sapienti di Goethe, che copiava ad acquarello il paesaggio italiano. Quindi, c'è anche una forte cultura visiva. L'Italia è foderata di chilometri quadrati di dipinti, affreschi, che anche per motivi propagandistici, di acculturazione delle masse, non attraverso l'alfabeto, bensì attraverso le immagini, hanno tappezzato le nostre chiese, non solo le chiese, anche i palazzi comunali. C'è stato un periodo addirittura in cui si condannavano i criminali effigiandoli  sul  palazzo del podestà, dei palazzi comunali, un espediente simile a: "Sbatti il mostro in prima pagina". Bene, quindi l'identità italiana sì, probabilmente è un'identità che è debole dal punto di vista letterario, dell'abitudine alla lettura, però questo, secondo me, non dovrebbe farci sentire più ignoranti perché è altrettanto importante e forte una cultura visiva, un'intensificazione di una cultura visiva e di una cultura musicale. E'  molto triste che nelle scuole non si insegni fin dalle elementari la cultura musicale, a imparare a leggere una partitura e a suonare uno strumento. Siamo il paese della melodia dell'opera lirica. Tutti questi elementi, secondo me, sono un punto di forza. Non bisogna sempre fare la solita lagna  che si legge poco, perché la cultura è fatta di assimilazione visiva, musicale e quant'altro.

STUDENTE: Scusi, io vorrei sapere che immagine danno gli scrittori italiani all'estero dell'Italia.

SCARPA:Che immagine dà uno scrittore italiano all'estero dell'Italia? I nostri scrittori più diffusi all'estero sono, e giustamente, Umberto Eco e attualmente anche Alessandro Baricco. Nelle università si studia molto Italo Calvino, nei dipartimenti stranieri, di italianistica o che comunque studiano la letteratura italiana, e quindi poi ovviamente Dante. Qual'è l'immagine che quindi la scrittura, l'Italia dà di se stessa all'estero, soprattutto letterariamente? Beh, con Umberto Eco e con Alessandro Baricco senz'altro quella di una specie di  aggiornamento alle tendenze post-moderne o comunque di una specie di equivalenza. I libri di Baricco e di Umberto Eco, per alcuni elementi, potrebbero anche essere stati scritti da un francese o da un americano. Per una certa quantità di elementi immaginari che  non sono radicati in maniera profondissima nella realtà italiana. Eco già di più, perché Il nome della rosa e l'ultimo, Baudolino, ha degli elementi molto forti di italianità. Quando il reverendo Jorge nel Il nome della rosa dice: "La cultura è una continua ricapitolazione, sublime ricapitolazione", coglie un tratto della cultura italiana, italianissima, che ripete la liturgia ogni anno. Nelle nostre chiese, nei nostri battisteri ogni epoca ha ridipinto la stessa scena. In molti battisteri italiani voi vedete il battesimo di Gesù ridipinto con un affresco trecentesco, quattrocentesco, quattrocentesco e cinquecentesco. Ogni epoca ha ricapitolato la stessa storia, l'ha  raccontata di nuovo. Questo è un elemento liturgico, cattolico, molto italiano che Eco ha colto molto bene nel In nome della rosa. Anche Calvino  ha degli elementi molto inernational-style che hanno fatto breccia, non per niente nell'accademia straniera. C'è da dire che è molto difficile farsi tradurre, soprattutto nel mondo anglosassone. Forse alla rovescia, guardando le cose all'inverso, noi italiani, almeno dal punto di vista letterario siamo un pochino molto più curiosi, traduciamo da molte più lingue di quanto non facciano, di quanto non faccia il mondo anglosassone. Quindi c'è da dire anche questo: che vengono accettati all'estero degli elementi o molto molto esotici - il solito parlare di mafia, di neorealismo, l'Italia povera, le campagne, riso amaro -, ecco questi sono gli elementi che piacciono molto in Italia, dell'Italia all'estero. Se ci pensate un film che è stato premiato, osannato, italiano all'estero è stato: Nuovo cinema paradiso. Ci hanno dato imemdiatamente l'Oscar. Perché? Perché, pur essendo un film assolutamente commovente, io mi son commosso quando l'ho visto, anche contro me stesso, non ero quasi d'accordo con me stesso, perché dall'altro lato mi accorgevo che propugnavo un'ideologia e una visione dell'Italia molto vecchia, ancora neoralistica, con il paesello di provincia, tutti che si conoscono, una comunità piccola, che partecipa delle tragedie e delle gioie comuni, la piazza veramente ancora come luogo di incontro, mentre, sì, d'estate noi, è vero, noi andiamo ancora a prendere fuori una granatina, un caffè in piazza. Si parla ancora di calcio o di politica, però non c'è quella forte condivisione di quartiere o di paese, credo.

STUDENTESSA: Noi sappiamo che in seguito al boom economico in America si sono formati dei movimenti di avanguardia come la bit generation, la pop art, che comunque criticavano la società. Ma in Italia si sono create delle forme di reazione al boom economico?

SCARPA: Dal punto di vista artistico letterario si sono formate eccome. Certo queste cose sono meno visibili perché hanno inciso forse in maniera sotterranea. Anche dal punto di vista politico si può leggere anche il '68 come una forma di reazione e critica sociale e politica molto forte  ai problemi creati dall'esplosione economica. In arte, per esempio, ci sono stati  dei movimenti che hanno a che fare molto con la pop art. Ci sono stati artisti come Alighiero Boetti o Pistoletto, che sono importantissimi e hanno rappresentato in maniera molto critica e sarcastica, sebbene non così diretta come magari  Warhol o gli artisti della pop art,  i nuovi scenari che si stavano formando, soprattutto in quegli anni cruciali, cioè tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta. Ricordo un'opera celeberrima di Alessandro Boetti, la mappa del mondo fatta con un arazzo in cui venivano cucite le bandiere, ecco, le bandiere, come se il mondo fosse davvero soltanto una questione di nazionalità e nazionalismi. Come rappresentare il mondo? Lo rappresentiamo attraverso il verde, il marrone delle pianure e delle montagne, il blu degli oceani, o come un collage di bandiere? Sembra banale ma abbiamo visto nei Balcani cosa questo implica, la rappresentazione, anche banalmente solo geografica o nazionalistica del mondo. I movimenti letterari che hanno criticato molto, anche se in maniera forse italiana un po' concettosa, un po' barocca, un po' troppo raffinata, sono stati, per esempio, il gruppo '63, nel dopoguerra. Ma a suo modo anche il neorealismo era stata una forma di riflessione molto forte sull'identità italiana, sebbene ancorata - scusate il gioco di parole - a questa visione molto paesistica campagnola mi viene da dire, contadinesca di alcune classi, anche se ci sono fior di film neorealisti ambientati in città, nella metropoli.

STUDENTE: Uno dei fattori che maggiormente contribuiscono all'educazione dei bambini di oggi sono i cartoni animati. Come giudica il fatto che i cartoni animati oggi siano quasi tutti giapponesi? Cosa significa che i vizi e le virtù degli italiani di domani saranno quelli dei giapponesi di oggi.

SCARPA: Non direi, perché comunque credo che chi produce cartoni animati in tutto il mondo, ormai si serve delle acquisizioni di culture che non sono necessariamente nazionali. Cosa vuol dire? Per esempio ci sono cartoni animati giapponesi che sono fondati su degli archetipi, cioè dei simboli fondamentali, che appartengono alla acquisizione della psicoanalisi e della psicologia simbolica o archetipica, psicologia analitica junghiana. Cioè c'è anche qui un international style, proprio per il motivo che sono venduti in tutto il mondo, c'è una specie di annacquamento degli elementi e dei tratti tipici nazionalistici. Cosa voglio dire? Fare un cartone animato costa. Per rifarsi dei costi bisogna venderlo all'estero. Per venderlo all'estero non puoi riempire troppo questo cartone animato di riferimenti a chi ha vinto, che ne so,  il Torneo di Sumo dell'anno scorso in Giappone, altrimenti, già in Corea non ti capiscono più, figuriamoci in Francia, in Italia. Quindi già alla fonte occorre inventare le  trame  in modo che ci sia un annacquamento degli elementi nazionalistici, che comunque rimangono. Se io trovo un limite, per esempio, guardando quella che è la nostra produzione culturale, è quella di essere troppo piena di riferimenti alla nostra cronaca e cultura. E' chiaro che anche noi, se mettiamo nei nostri films, nei nostri romanzi degli elementi troppo legati alla cronaca, ai mass media, se ci mettiamo Raffaella Carrà, beh, Raffaella Carrà è famosa nei paesi di lingua spagnola, come sapete, ha fatto molta fortuna in Sud America, come ottima conduttrice di programmi e cantante. Però già, insomma, già in Canada o anche solo in Belgio, credo - beh, no, in Belgio ci sono molti immigrati italiani -, ma comunque in molti paesi europei, se facciamo un film dove è presente troppo Raffaella Carrà, anche solo come elemento di simpatia o di ironia già non si capiscono più. Secondo me quindi non sono tanto gli apporti nazionali, ma è l'international style quello che sta, uno stile internazionale, un deposito di cultura un po' annacquata e anche questa globalizzata quella che sta per essere assimilata dai ragazzi e dai bambini.

STUDENTE:  Lei nel suo modo di scrivere fa largo uso della satira, del sarcasmo, dell'ironia. Ma che funzione ha, tra virgolette, la Sua "satira"? E'  una critica, un'identità italiana, che non condivide, o è uno stimolo nei confronti degli italiani?

SCARPA: Allora, sulla satira io non penso di fare satira perché la satira è anche troppo legata alla cronaca, e, se la faccio, la faccio di rado, ma in generale la satira è un modo di rendere omaggio al potere. Se  tu ti occupi con la tua scrittura, la tua invenzione, anche il tuo modo di disegnare, se  fai della satira disegnata, sempre e solo di una classe politica, diventa quasi una tua ossessione e è quasi un modo di renderci omaggio. E' un paradosso, è un po' contraddittorio, ambiguo. Se io sapessi disegnare benissimo, come alcuni dei nostri vignettisti, che fanno satira, beh, magari a fare sempre e solo la faccia di Rutelli e  Berlusconi mi stuferei, cioè diventa quasi un modo di rendere omaggio. E' molto ambigua la satira. Quanto al sarcasmo e all'ironia, sì, sono delle forme per  manifestare un certo disagio. Secondo me, appunto, è molto utile ed efficace pensarci italiani, in quanto ci ricordiamo più o meno tutte le canzoni di Battisti, di Mina e quant'altro, ci ricordiamo chi ha vinto i Campionati di Calcio, ci ricordiamo chi ha presentato le varie trasmissioni televisive nel corso degli anni. Secondo me, ecco, questo è molto efficace perché riesce a far presa veramente su tutte le classi sociali, riesce a farci sentire un po' della stessa pasta, condividiamo uno strano sogno, un po' superficiale, molto melodico. La melodia - si ricorda, no? - facilmente, è quasi un espediente  mnemotecnico la melodia. E ' come se ci riempissero la testa di melodie, melodie fatte di immagini, di musica, di parole, di ritornelli. Ecco, il ritornello ritorna, , ritorna il ritornello. Ritorna sempre e ci crea e ci fornisce sempre piacere. La mia satira, la mia ironia che conta poco, che incide poco, come sempre quella di chi scrive, è un po' per cercare di far vedere che questo è, sì, efficace, è probabilmente l'unico modo per tenerci un po' tutti uniti di tutte le classi sociali, di tutte le storie diverse, di tutte le regioni, noi italiani. Però, magari ecco, c'è da tener duro anche  su altri valori storici e culturali,  più forti, più profondi, anche più emozionanti, secondo me.

STUDENTESSA: Mi scusi. Uno stereotipo vuole che gli italiani, come Lei diceva prima, siano caratterizzati da una forte autoironia. Ma ciò non potrebbe essere indice di un segno di debolezza degli italiani stessi?

SCARPA: Io non la vedo tutta questa ironia negli italiani. Mi sembra che, se ci toccano in certe abitudini, ci arrabbiamo, per non usare una parolaccia, ci arrabbiamo moltissimo. L'ironia, l'autoironia comunque è un indice, sono d'accordo,  di debolezza. Come dire: non fatemi del male, non denigratemi, perché ci penso già io a ridere su me stesso, quindi, per favore, non ridete su di me, perché ci penso già io a fare delle battute su me stesso e  quindi non fatemi del male. Più che autoironia vedo della bonarietà dell'indulgenza, dell'autoindulgenza negli italiani, un sorriso, che anche questo è molto importante, aiuta senz'altro a vivere meglio. Ci assolviamo a vicenda, abbiamo inventato la confessione, insomma, cattolicamente la usiamo tantissimo,  anche se non siamo credenti. Quindi vedo più un tratto italiano di autoindulgenza, di autoassolvimento, più che di autoironia feroce e  se è fatta bene, l'autoironia, può essere una forte autocritica.

STUDENTESSA:  Abbiamo parlato di scrittori. Secondo Lei il fatto che uno scrittore parli dell'Italia rappresenta, cioè è un suo dovere o rappresenta anche una sorta di limitazione.

SCARPA: Questa è una bellissima domanda, perché la nostra estetica, il modo in cui abbiamo pensato alla letteratura e anche al cinema - ma il cinema, sa, il cinema inquadra delle cose e, a meno che uno uno non faccia una scenografia tutta finta oppure degli effetti virtuali in tre dimensioni -, più o meno se vai a Roma, se vai a Napoli e a Milano e inquadri una scena, quella è. Poi, puoi cambiare degli elementi. La letteratura è rappresentazione o no? C'è stata una grande stagione,  del romanzo  realistico, che ha detto che il romanzo doveva essere rappresentativo, doveva occuparsi dei casi reali della gente e soprattutto delle classi  svantaggiate. Questo è tutto da discutere. Ci sono anche degli ottimi romanzi fantastici, con degli elementi surreali. Pensate solo al Maestro e Margherita, per esempio, di Bulgakov, o agli stessi romanzi di Calvino, soprattutto la Trilogia dei nostri antenati, dove ci sono degli elementi fantastici. Certo ci sono due modi di rappresentare l'Italia: una quella nostra, chiusa su e stessa, autoriflessiva, dove l'Italia di oggi è fatta tutta di Tardelli, Sanremi, Totò, memorie di Coppi e Bartali, delle squadre di calcio,  cioè delle cose che capiamo solo noi. Se noi vogliamo parlare solo a noi stessi, va bene, facciamo senz'altro così, questo è, però, per me, è senz'altro un limite. Se invece vogliamo rappresentare dei tratti italiani non troppo incrostati di questa incredibile stratificazione mediatica e questa celebrazione sanremistica dell'Italia, chiamiamola così, sì c'è da  mettere l'occhio su altre zone dell'Italia, altre zone anche dell'anima dell'Italia, che non siano solo quelle solo televisive o  mass mediatiche.

STUDENTE: Mi scusi un'ultima domanda. Lei è uno dei pochi scrittori dell'ultima generazione che si è preoccupato di essere italiani. Lo ha fatto per un interesse puramente artistico o per il suo stesso essere italiano?

SCARPA: Non sono l'unico. Per esempio Aldo Nove, Niccolò Ammaniti hanno scritto delle cose sull'essere italiani, secondo me, anche se non in maniera saggistica. Sì, mi sono accorto che la coscienza dell'essere italiano è  qualcosa di particolare, di probabilmente non paragonabile a l'essere francese o tedesco,  per motivi non soltanto storici. Secondo me, ecco, sì, occuparsi del carattere degli italiani è quasi diventato un genere letterario, perché delle persone, dei geni della nostra letteratura  lo hanno fatto nei secoli passati. E' difficile trovare nelle altre letterature degli scrittori che abbiano sofferto così tanto la coscienza del proprio essere nati in un certo posto. Non trovate nella letteratura francese o inglese qualcuno che soffra così tanto l'essere francese o inglese. Pensate a Dante, a Petrarca, a Leopardi. Ma sono tantissimi gli scrittori, che hanno sofferto e hanno meditato non con gioia, ma proprio con attrito, con disagio, con molto pathos, la coscienza di essere italiani, perché questo è veramente un punto doloroso,  ma è ben messo a fuoco del tutto, al punto che si potrebbe quasi dire che è diventato un genere letterario, come lo è, che ne so, il romanzo giallo, oppure la raccolta di sonetti o il poema in ottave. Beh, esiste un filo rosso, nella letteratura italiana, che attraversa i secoli, che è: cosa vuol dire essere italiani e perché spesso ci provoca questi sentimenti contrastanti di orgoglio, godimento, ma anche dolore, sofferenza e rammarico.

Puntata registrata il  6 dicembre 2000

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