Intervista a Tiziano Scarpa - Il linguaggio come tormenta, sciabordio, tempesta -

Tiriamo un po' le fila della cosiddetta letteratura cannibale, cercando di capirne anche le radici, e parliamo delle scuole di scrittura (in occasione della sua partecipazione alle lezioni organizzate dalla Casa della Cultura di Milano) con un protagonista della narrativa italiana più recente, che ora rivoluziona anche il vecchio modo di concepire le guide turistiche...



C'è una particolare ricerca stilistica nel suo lavoro. Come e da cosa nasce il suo linguaggio narrativo e a quali altri linguaggi si ricollega?

Finora nell'unico romanzo che ho pubblicato Occhi sulla graticola [Edizioni Einaudi, 1996 ndr.], ci sono sicuramente molti... Parlo come i calciatori "sicuramente" è un indizio, un avverbio da intervista ai calciatori, per esempio, ecco che immediatamente salta fuori un virus che proviene da un linguaggio altrui, perché sicuramente è il modo di iniziare le frasi dei calciatori. Comunque... Sicuramente in quello che ho scritto sinora c'è una tormenta, uno sciabordio, una tempesta di linguaggi; non vedo come potrebbe essere diversamente, anzi è quasi banale e scontato ormai fare un tipo di ricerca in questo senso. Direi che si è quasi più sperimentali a essere classici, monocordi, monotonali e monotoni in questi anni, visto che così si va davvero controcorrente. Invece io, molto più banalmente, mi sono lasciato prendere dal vortice della pluralità dei linguaggi. Al di là di questo credo che, oltre le parole, la cosa abbia significato se la pluralità di linguaggi significa una interrogazione alla pluralità dei saperi. Uno dei miei maestri reali è Alberto Savinio, il fratello di De Chirico, che è morto negli anni Cinquanta, e che, per esempio in Nuova enciclopedia [Edizioni Adelphi, 1985 ndr.] assemblava voci proprio importanti a voci apparentemente meno importanti, voci come amore, europa, dio, affiancate a voci come abat-jour, zampironi... Interrogare tutti i saperi, convocarli tutti e di conseguenza poi riversarli in linguaggi plurimi. Questo per me ha senso.

È anche una ricerca del suono oltre che della parola?

Questo è un altro discorso. In narrativa, in prosa, il suono è più una cadenza sintattica che un guscio o un aspetto acustico. Certo in poesia, e dunque in pubblicità, che sono la stessa cosa, il suono è importante... anche se il suono è importante ovunque. Comunque in prosa è solo un segno del radicamento nel corpo del linguaggio.

A distanza di due anni dalla pubblicazione della raccolta "Gioventù cannibale" dell'Einaudi, che ha di fatto aperto la strada in Italia a un nuovo genere letterario e alla categoria "scrittori cannibali", lei, che pur non essendo tra gli scrittori della raccolta è stato classificato come tale, che elaborazione dà del fenomeno.

Mi sembra che al di là delle etichette (non dimentichiamo che Cannibale era una bella rivista di fumetti e altro con Pazienza, Scozzari, Tamburini, Liberatore, dei tardi anni Settanta, prima di Frigidaire quindi tutto torna...) la scrittura, se vogliamo continuare a chiamarla cannibale, abbia delle caratteristiche abbastanza precise che sono un certo sarcasmo creaturale verso i personaggi e un specie di sano antipopulismo, perché non c'è quella sorta di compassione neorealistica verso strati sociali o eventi di cronaca tragici. C'è un apparente cinismo che invece, secondo me, è una specie di vestito antipopulista, che è poi uno dei modi per criticare in maniera efficace le caratteristiche sociali della psiche dell'identità nazionale, dell'identità collettiva, di quella individuale... Facciamo un esempio per non essere astratti: un protagonista dei racconti di Aldo Nove che fa fuori tutta la famiglia non viene presentato come una vittima della società, ma viene presentato come un poveraccio disastrato mentalmente che è il frutto semmai di una serie di colonizzazioni culturali che gli derivano da pressioni pubblicitarie, giornalistiche, mediali e anche di piccineria di ambizioni, desideri di ricchezza da due lire, di felicità puramente mercantilistica, di felicità sessuale di tipo spesso poco fantasioso. Non c'è più un chinarsi carezzevole su questo tipo di personaggi; spesso anche le cose che gli si fanno passare, gli eventi che attraversano e che li vedono accoltellati, seviziati dal racconto stesso, sono parte di una trama che si accanisce e si diverte a fargli del male. Questo secondo me è un esempio di sarcasmo creaturale, di atteggiamento antipopulista.

È successo così anche alla sua Graticola...

Un po' sì, anche se li non ci sono schizzi di sangue... ci sono altri tipi di brutte figure o momenti in cui la trama si accanisce un po' a perseguitare il protagonista.

Cosa si aspetta di ricevere e dare in questa nuova esperienza di docente in una scuola di scrittura?

Ricordo che fino a venti-venticinque anni traducevo la critica letteraria in possibilità compositive. Mentre in Conservatorio o in Accademia si affronta l'arte anche dal punto di vista compositivo, per quanto riguarda la letteratura, soprattutto in Italia fino a una decina di anni fa, cinque-dieci anni fa, la si affrontava solo in sede di commento, di critica. Il discorso sulla letteratura, almeno nelle sedi istituzionali, scolastiche, era di tipo commentativo, per così dire posteriore se non postumo. Fare il contrario dopo circa vent'anni di formazione da parte mia e di letture, andare alle sorgenti, andare alla scaturigine di quelli che sono i problemi dell'invenzione linguistica, già di per sé è abbastanza arioso, è come una boccata d'aria, ci si trova non a commentare cose già fatte ma a sognare cose da fare. Questa consapevolezza è una cosa già bella in sé, già questo basterebbe a dare una rivitalizzazione. Poi mi aspetto di sbattere la faccia su problemi diversi dai miei, problemi compositivi diversi dai miei, problemi reali quindi: poetiche, modi di sognare di attraversare la scrittura, di incorporarla diversi dai miei, e anche questo è molto.

So che si è dedicato anche a una guida turistica...

Sì, in questi giorni esce una descrizione, Guida di Venezia per Paravia-Gribaudo, che è divisa in nove capitoli che si intitolano: piedi, gambe, cuore, mani, volto, orecchi, bocca, naso, occhi. Sono le esperienze fisico-emotive che si possono fare a Venezia.

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