Julius Evola

30/10/2003

Artista e Studioso delle Tradizioni (Roma 1898 - 1974)

LUCI: vorrei iniziare a parlare del barone Julius Evola, come i prof del liceo, presentando la sua biografia poiché l'autobiografia, Il cammino del cinabro, io non l'ho letta, anche perché non è stata tradotta in italiano e ne gira solo una versione francese che io ovviamente non ho preso. Poi, per quello che ho letto su questo libro, Evola è parecchio reticente a raccontare molti episodi, amicizie e amori della sua vita; la sua infanzia è completamente assente, tranne l'accenno al cattolicesimo osservante e alle origini nobili siciliane e romane della sua famiglia con cui ruppe nella prima gioventù, ciao nebbia, leggendo i soliti Baudelaire, Rimbaud, Stirner e allontanandosi così dalla direzione cattolica che la famiglia avrebbe voluto dargli. Poi si avvicinò agli ambienti artistici, entrando subito in collaborazione con Balla, e diventò pittore futurista dall'alto livello d'astrazione , frequentando gli ambienti intorno a Balla che erano pieni di teosofi e mistici. Vediamo qualche opera del primo e dell'ultimo periodo della produzione dell'artista1:

Fiori, 1918

Nudo di donna afroditica, 1968-70 La genitrice dell'universo, 1968-70


1. Si veda un compendio del suo percorso artistico a questo indirizzo.


A questo punto merita una digressione un altro grandissimo personaggio Arturo Reghini, studioso di massoneria e soprattutto della "Schola Italica" della tradizione esoterica del pitagorismo italiano. Reghini era un matematico ed era amicissimo di Papini, che molto influenzò, pare, nella scelta delle pubblicazioni di Lacerba e quindi nella scelta dell'adesione al Futurismo, e spinse per la pubblicazione nelle edizioni dello stesso Papini di opere di Schopenhauer, Nietzsche, e altri testi teosofici e orientali. Nonostante fosse uno dei maghi più potenti dell'epoca (se non il primo, il secondo iniziato al O. T. O. in Italia, personalmente da Crowley, come secondo la Questura di Roma sarà anche Evola), Reghini finì la sua vita come insegnate di matematica al Liceo, ma secondo Cesare Galli, studioso di nazismo e fascismo…
CICCIO: Giorgio!
LUCI: Ho detto Stefano?!
PAN: Oggi è morto Filippo Galante Garrone…
ZENOZeno: Chi?
PAN: Roberto Galante Garrone...
CICCIO: Il giurista? Ma ci ho anche dato un esame!
ZENO: Io ci ho parlato al telefono un mese fa!
LUCI: È stato il colpo finale...
PAN: Ci vada a salutare la salma…
LUCI: ... dicevo che secondo Galli, Reghini fu una delle ispirazioni più occulte del Fascismo per quanto riguarda il discorso del recupero della tradizione romana e pagana e le celebrazioni di tipo imperiale, tanto è vero che quando il Duce firma il Concordato con la chiesa nel '29, Reghini se ne allontana e si trasferisce in Francia in ambienti antifascisti, dissentendo anche da Evola che, pur non avendo mai preso la tessera fascista, vi vedeva una possibilità di riscatto per l'Italia…
Tornando a Evola matura in questi anni un distacco nei confronti di Balla proprio sulla questione dell'Astrattismo, anzi continuando ad astrarre, come già capitò prima di lui a Rimbaud e dopo ai Situazionisti, si distaccò del tutto dall'arte: l'esperienza cardine fu anche per Evola la Prima Guerra Mondiale, cui partecipò entusiasticamente sulla scia dei futuristi, ma senza la loro visione della guerra come buona per gli stati occidentali modernisti contro il passatismo: Evola era invece favorevole agli Imperi Centrali, pur essendo entrato in guerra con l'Italia contro di essi, perché ancora garantivano una certa tradizione e proseguivano l'etica guerresca prussiana…
Per tutti gli autori del '900 che vi parteciparono da Apollinaire, a Ungaretti, ai Surrealisti, la guerra fu un'esperienza fondamentale, dove si giocarono molti aspetti spirituali dell'uomo, dalla morte, alla fatica, al desiderio di non essere lì, ma di esserci, e lì Evola ebbe pure le prime esperienze con l'etere, che lo mettono in crisi sulla possibilità di affrontare la vita in modo esclusivamente materiale… che poi svilupperà con lo druido delle dottrine orientali…
Come scrive Evola nella sua biografia citata in questo libro della Valento2:

"in questo contesto vi è anche da accennare all'effetto di alcune esperienze interiori da me affrontate a tutta prima senza una precisa tecnica e coscienza del fine, con l'aiuto di certe sostanze che non sono gli stupefacenti più in uso [...] Mi portai, per tale via, verso forme di coscienza in parte staccata dai sensi fisici. Passai non di rado vicino all'area di allucinazioni visionarie e forse anche della pazzia [...] le ripercussioni di tali esperienze valsero però ad aggravare la crisi". L'uso delle droghe iniziò in piena guerra3.


2. E. Valento, Homo Faber, Julius Evola fra arte e alchimia, Fondazione Julius Evola, Roma 1994.
3. Testimonianza di questa pratica ci viene fornita anche da S. Aleramo in Amo. Dunque sono edito per la prima volta nel 1927. Il libro ricevette l'ironia di Evola identificabile in Bruno Tellegra. Vi si narra la relazione tra questi e la Aleramo ed Evola è descritto come un personaggio tutto sommato molto ridicolo e poco coerente.


PAN: Leggi la nota! Pare abbia scopato con Sibilla Aleramo.
PONTE: Tutti l'hanno scopata, pure Accorsi.
LUCI: Alla fine della Guerra Evola si dedica infatti sempre di più alla filosofia, rarefacendo le proprie esperienze artistiche e poetiche, riprendendo concetti dell'Idealismo Classico di Gentile, ma estremizzandolo con Novalis, Fichte e Schelling vedendo in un Idealismo integrale e totale l'unica possibilità per accedere al nucleo di essenza vera che c'è nell'uomo oltre tutti i rivestimenti temporali legati al Divenire…
Neanche la fase filosofica non dura molto, perché, come già artisticamente, Evola sembra farsi da solo tutta la strada del '900, superandolo: trova l'Idealismo assoluto e il superamento di tutta la filosofia precedente, e ne esce vedendo che come l'Arte anche la Filosofia non basta da sé e l'unico suo interesse, dai trent'anni in poi, sarà la Tradizione, esoterica e religiosa, e il mettere in luce le differenze tra le società precedenti al Kali Yuga, la fase di dissoluzione dell'Universo che precede il Pralaya secondo l'Induismo (come è citato in Via Nizza Live) e quelle successive sopraffate dalla materialità e da valori economici e politici... Da molto giovane Evola aveva curata una traduzione interpretazione del Tau Te Ching di Lao Tse, testo classico della tradizione cinese, scrivendo anche a Tzara sulle somiglianze che vi trovava col Dadaismo nel percorso di astrazione dalla vita concreta… Sulla base di queste ricerche pubblicherà libri come Rivolta contro il mondo moderno dove, basandosi anche sugli studi di Renée Guénon, esoterista abbastanza conosciuto per la sua opera di divulgazione di simboli e sistemi tradizionali, più per i suoi metodi che non divulgava...
Evola era anche un uomo sportivo, tutt'altro che un letterato chiuso come un topo tra i suoi libri, amava l'alpinismo e scrisse anche alcuni libri come Meditazioni delle vette, dove vede l'alpinismo come un processo di elevazione e astrazione dal mondo materiale per arrivare l ghiaccio e alla pietra, alla sostanza brutta che è un po' l'origine di tutto.
Quando s'instaurò il Fascismo in Italia Evola fu anche consultato da Mussolini, sebbene la leggenda voglia che Mussolini si toccasse le palle quando arrivava Evola, e con la caduta del regime gli rimase fedele, come anche Marinetti, per un discorso di lealtà guerriera, evitando l'ipocrisia di attaccare ciò che fino a quel momento aveva tollerato; tra l'altro il Fascismo gli aveva anche chiuso un paio di riviste, tra cui La Torre, ed Evola non ne tollerava il plebiscitarismo, il democraticismo, e la figura del leader populista… Durante la Seconda Guerra Mondiale, Evola ebbe l'occasione per combattere i suoi nemici storici come l'americanismo e il bolscevismo, ma per arruolarsi serviva la tessera fascista, che pare avesse chiesto, invano. Arrivata la disfatta (e un'altra leggenda lo vede presente al momento in cui Mussolini riuscito a liberarsi va a incontrare Hitler) Evola riesce a rifugiarsi a Vienna, dove durante il bombardamento a tappeto della città perde l'uso delle gambe e la sua attività di scalatore si ferma qui, a metà degli anni '40.
Passa gli ultimi anni, fino al '74, scrivendo tra Bologna e Roma, circondato da alcuni allievi, con grosse polemiche sia con la Sinistra che con la Destra ufficiale. Una delle tante accuse rivoltegli fu quella di razzismo, tema sul quale fin dagli anni '30, scrisse testi come Il mito del sangue, La difesa della razza… Va detto che Evola aveva sempre rigettato l'idea di un razzismo puramente biologico e in queste opere smonta le teorie di Gobineau, di Chamberlain, poiché vedendo la carne come una manifestazione di altro, considerava piuttosto un razzismo spirituale, difendendo ad esempio l'organizzazione delle caste…

Abbiamo accennato prima che Evola superò il Futurismo, in particolare, con un testo dal titolo Simboli della degenerescenza moderna: Il Futurismo. Arrivò a dire questo perché vedeva il Futurismo come un esempio della decadenza del mondo, dell'aprirsi al Divenire, alla velocità, alla lussuria, alla guerra, alla vita pratica come una resa al Divenire. Lui pensava invece che bisognasse e liberarsi dal Divenire per raggiungere l'Essere che c'è dentro l'individuo, e tutte le sue opere pittoriche sia futuriste che astratte sono infatti dei paesaggi interiori. Sto facendo troppi -ismi ma d'altra parte parlando del '900 o di -ismi o di -fismi si deve parlare. Comunque Evola cercava l'aspetto dell'interiorità dell'essere umano e il suo salto al dadaismo è motivato dal vedervi un punto fermo, un'astrazione del Divenire storico e spazio-temporale rispetto al futurismo così assorbito nella società moderna. Come ho detto, in quella lettera che scrisse a Tzara a proposito di Lao Tse, riuscì a trovare l'aggancio tra la millenaria tradizione cinese e l'Avanguardia storica dei primi del primo '900, proprio grazie a un'astrazione totale dalla manifestazione quotidiana e dall'immersione nel flusso temporale di ogni individuo… continuava a cercare l'io più integro e stabile, l'essenza immobile dell'individuo, attraverso gli strumenti prima dell'arte, poi della filosofia e infine quello definitivo… tra l'altro Evola si rifaceva alla tradizione medievale che vedeva l'arte somma, l'arte regia, nell'arte alchemica, la trasmigrazione spirituale di cui tutti le arti erano un semplice riflesso.
Evola fu anche divulgatore in occidente del Tantra, quello strumento di elevazione spirituale che usa il sesso, come altri l'ascetismo, e su di esso nel '50 scrisse Metafisica del sesso .
Va detto che Evola scriveva sia in francese che in italiano, ma sapeva anche il tedesco, tanto da essere traduttore di Jung, Spengler, ed è ora venuto il momento di leggere qualche sua pagina, ad esempio queste Note per gli amici, scritte nel gennaio del '21, che spiegano bene la sua idea di Dada, di cui aveva già una visione eterodossa rispetto a quella di Tzara, non di gioco, ma di distruzione dell'individuo e della società per arrivare alla stabilità in mezzo al Divenire.

Note per gli amici4

Per noi, l'arte è un'altra cosa. Non si tratta di fare il giuoco dell'umanità che i diversi mezzi espressivi travestono in illusione di nuovo e d'individuale; non si fatta di fare gli istrioni o gli eroi; non si tratta di abbandono e di ebbrezza colpevole, motivi eterni di ogni individuazione del sentimento e del pensiero. Siamo fuori.
Tod und Verklarung!
Noi tutti siano dei morti, dei carbonizzati, dei decomposti: abbiamo esaurite, nella sete insaziabile di un Faust, tutte le esperienze, spremute sino all'ultima stilla sanguinante tutte le passioni. Con Wagner ci siamo esauriti nell'eroico dell'elemento universale, con Fichte abbiamo risolto egoisticamente il mondo, con Nietzsche e, più con Rimbaud ci siamo devastati di umanità: palpitammo, indicibilmente sparsi sulla natura, con Debussy, e con Berkeley e Kant vivemmo in sede vitale il problema della conoscenza. Soffrimmo tutte le morti, vivemmo le illusioni di tutte le luci, nell'esperienza di questa epoca congesta e torturata. Ora tutto ciò non esiste più. Fuor dalle selve delle corruzioni che ci sventolarono finché non fummo che strani fasci di nervi disseccati - finiti - un deserto gelidamente ardente ci possedé, verso la rarefazione solare. Ora sappiamo che c'era qualcosa d'altro che la nostra ubriachezza nascondeva, ora sentiamo che sentimento, fede, amore ed umanità son deboli infinite malattie: tutto quel che è vita e realtà, per gli altri è caduto giù, per sempre, come una veste sporca, sudata e straccia da un corpo di luce. E gli uomini che si chiaman vivi, li vediamo morti fantocci, bruti e mercanti.
Non è pessimismo: si tratta di aver veduto. Nella conoscenza squallida abbiamo ritrovata la nostra realtà: l'io che è al di fuori della vita di tutti i giorni, l'illusione e la malattia in tutto il resto: e l'estraneità, la brutalità e la non-proprietà di tutte le cose che si chiamano spirituali: pensiero, sentimento, fede.
E si svegliò in noi: "quel che abbiamo di divino: l'azione antiumana"5. L'uomo che non è più agito, ma agisce - unica realtà - si risolse nella vita di ogni ora nel motivo della negazione. Da qui l'arte, la nostra arte, come terapeutica dell'individuo.
Noi siamo distruttori, immorali, disorganizzatori: vogliamo morte e follia: "Nous déchirons, vent furieux, le linge des nuages et des prières, et préparons le grand spectacle du désastre, l'incendie, la décomposition. ...l'état de folie, de folie agressive, complète d'un monde laissé entre les mains des bandits qui se déchirent et détruisent les siècles: sans but ni dessein, sans organisation"6. Ed in questo è la nostra saggezza, la nostra pena di vivere: portare logica e coerenza, disseccare la volontà di vivere, portare l'arbitrio nell'ordine, disciogliere il concreto nell'astratto, la fede nel capriccio. Non abbiamo più terra ferma, siamo contraddittori, prendiamo in giro noi, stessi come gli altri: nulla ci possiede; non vogliamo che questa negazione chiudentesi in se stessa, che l'annullamento in noi degli idoli, della necessità della malattia che ci ha creato le categorie: ossia la passione e la rappresentazione.
E tutto ciò, senza necessità, senza fede; io, sono al di fuori; ogni elemento sincero rappresenta incoscienza, non-proprietà.
Per capriccio - giuoco triste - arte.
Alchimia ed allucinazione delle forme astratte.
Noi sappiamo quel che facciamo, ché possediamo la distruzione, e non la distruzione possiede noi: lo sappiamo freddamente, chirurgicamente: mentre dall'altro lato tutto quel che facciamo è per noi stessi assolutamente incomprensibile: non vogliamo nulla. Io sono in malafede: i miei poemi m'importano come uno smalto per unghie: i miei quadri li faccio per la mia vanità. Scrivo perché non ho nulla da fare e per réclame. Sono un rastaquouère dello spirito. E ripongo la mia cosa nella forma senza vita, ripongo la mia cosa nel nulla: "ich habe meine Sache auf nicths gestellt"7.
Ed, a questo punto, l'io passionale ed il mondo pratico divengono spettacolo: esistono indifferentemente, in un'atmosfera artefatta, in una strana e stanca realtà di cartone: metropoli automatica, senza vita né stelle. Sdoppiamento profondo. Al disopra, la possibilità di scancellar tutto nella vita dell'arte astratta, nell'arbitrio, cosi, ammalandosi un poco in un capriccio ghiacciato; per non morire: presso all' altissimo granito bianco della coscienza superiore.


4. in J.EVOLA Scritti sull'arte d'avanguardia, Edizioni Fondazione Julius Evola, Roma 1999, pp. 35-37.
5. T. TZARA: Manifeste Dada, 1918.
6. T. TZARA: Manifeste Dada, 1918.
7. STIRNER: l'Unico. "Ho riposto la mia causa nel nulla" frase d'apertura dell'opera fondamentale di MAX STIRNER (pseudonimo di J. C. SCHMIDT, 1806-1856), L'Unico e la sua proprietà (1845; traduzione italiana più recente presso Adelphi). Per Stirner l'Individuo, l'Io, l'Unico, è misura di tutte le cose. Pienamente libero, a lui nulla è superiore. Ciò che di Stirner interessò Evola era la negazione di tutti i valori per riporre la causa dell'individuo nell'individuo stesso che si da a sé. È la prima volta che Evola lo chiama direttamente in causa nei suoi scritti, ed è anche il solo a parlarne in contesto dadaista (N.d.C.).

LUCI: Vediamo che è come se Evola volesse portare il discorso Dada alla distruzione totale di tutto, come A un nuovo modo d'intendere l'esistenza più legato alla spiritualità, di liberazione dalle qualità ancora umane com'è anche la fede, che infatti non può dare un accesso al divino, dio non ha Fede, nè Emilii, per quello Berlusconi non è dio, cazzo! Comunque questo processo di distruzione e di liberazione deve passare dalla liberazione dal sentimento, dal bisogno, Evola parla ad esempio dell'egoismo, sostenendo la capacità di bastare a sé stessi, rinunciando al mondo esterno, proprio per potervisi unire: è un discorso sulla negazione della divisione, come dicemmo per D'Annunzio a proposito de Il trionfo della morte; per D'Annunzio è impossibile ed Evola lo ricollegherebbe a un discorso di decadenza, quello che Nietzsche chiamava in senso negativo Nichilismo, l'impossibilità di trovare una via d'uscita nel mondo moderno. Poi per Evola come per tutti i grandi mistici, da Master Eckart della filosofia mistica medievale tedesca, a Dionigi Areopagita di quella bizantina del tempo dei padri della Chiesa, il processo è quello di ricerca della negazione completa, diventare dio quando si è nulla.
E la liberazione dall'arte di Evola, a favore della divulgazione della tradizione, va letta in questo senso. Non voleva più esistere né come figura artistica né filosofica, rivendicando una proprietà una firma in ciò che scriveva, ma compiendo solo un'immersione nei simboli della storia dell'umanità, per recuperarli. Vorrei ancora aggiungere qualcosa a proposito di un saggio dal titolo Cavalcare la tigre, scritto alla fine degli anni '50: se lo trovate leggetelo perché è un trattato completamente anti-Pasolini. Noi possiamo pensare che essendo un tradizionalista, rifiutasse totalmente il mondo moderno, e si mettesse anche lui a cercare lucciole e ragazze nei boschi, e si lamentasse per la televisione che aveva distrutto la famiglia italiana, ma invece, sapendo che si trattava di una fase di dissoluzione, voleva che questa fosse portata all'estremo: era molto più coraggioso avere certi valori, e cercare il proprio vero sé come i nomadi della metropoli, che lamentarsi e ritirarsi in cima alle montagne. Era contro la modernità, ma era contro vivendola, senza nostalgie: in questo momento giusto essere qua e fare quel che bisogna fare.

PONTE: Allora come relazionerebbe il nostro lavoro a quello di Evola? Cosa ci ha insegnato?
LUCI: Che la cosa più importante è realizzarsi come individui. L'astrazione e gli altri metodi servono a questo. E poi di stare attenti se capitate in mezzo a un bombardamento...
CICCIO: Cosa bisogna fare?
ZENO: Essere i bombardatori.

John Giorno
Gabriele D'Annunzio
Mishima


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