LA VENTRONI NELLO SPAZIO

12/12/2002

Sparajurij:
C'è una certa consonanza tra la sua poetica, le sue tematiche, il suo modus operandi, tra Sparajurij e quello dello scrittore invitato stesso e anche nel caso di Sara Ventroni ci sono molte cose in comune che lascio a voi scoprire…
Il percorso di Sara comincia in tenera età, quando ancora andava all'asilo, prosegue al Liceo e poi Università dopo aver vinto vari concorsi di cui però ha preso poi le distanze immediatamente… i concorsi a noi non piacciono, lei li ha vinti ma non piacevano neanche a lei, perché se partecipi, almeno vincili… e lei li ha vinti così se ne è liberata in qualche modo..
Ha esordito in antologie romane in cui erano contenuti altri poeti e scrittori romani di nostra conoscenza, quali Christian Raimo, e poi col tempo ha elaborato un percorso che ci sembra personale, a differenza di quello che accade in sparajurij che è l'unione di più persone, arrivando a elaborare una poesia molto all'insegna dell'osmosi tra il corpo e la macchina, una poesia corporea che risente senza dubbio dell'ambiente industriale, post-umano dove le strutture materiali degli edifici stessi prendono vita in relazione all'individuo che ne entra in contatto in vario modo.
Si è parlato per la sua poesia di "realismo visionario" (che ci dice qualcosa ma sicuramente non ci dice tutto e ha poco a che fare col realismo magico che ci viene immediatamente in mente) e di "poesia post-umana", e vedremo con lei che cosa queste definizioni esattamente significano…
C'è un rapporto stretto con i testi sacri, e con l'uso della sonorità e dell'oralità della poesia: Sara sta infatti facendo anche un gran lavoro sull'aspetto vivo vibrante della parole, sull'oralità, sul leggere, è una della famiglia dello Slam dove anche noi l'abbiamo conosciuta…

Sara:
Volevo parlare un po' delle persone e di alcuni luoghi poetici, politici, filosofici, che mi hanno influenzato e che vedo intorno in me e anche in Sparajurij, e venendo qua ho pensato di portare alcuni ospiti (metaforici) con me, che sono: Amelia Rosselli, Tommaso Ottonieri, Thomas Eliot, Guy Debord e Walter Benjamin…

Sparajurij:
"Siamo in buona compagnia".

Sara:
Ho sempre notato nei lavori di Ottonieri o di Gabriele Frasca, consapevolmente, e in altri testi inconsapevolmente, un attenzione all'idea di spettacolo, di merce e di mercificazione che può esserci nell'oggetto e nella produzione letteraria sia essa narrativa o poesia, e il testo fondamentale di formazione per me e per altri fu quello di Debord, La società dello Spettacolo, del 1967, che è testo assolutamente profetico, perché, un po' come McLuhan non aveva i mezzi per fare delle previsioni che invece si sono pienamente realizzate in questi ultimi decenni: fondamentalmente descrive il passaggio dall'economia pesante al consumo immateriale; Debord prende Marx, la parte meno studiato del capitale, e si concentra non sul carattere di merce e sul valore d'uso della merce, ma sul suo valore di scambio, arrivando a dire che nelle società capitalistiche avanzate la vera merce è qualcosa d'immateriale, che ha una carica simbolica (cosa che aveva detto anche Marx) e che è soprattutto immagine.
Però Debord concludeva questo intervento apocalittico dicendo che si era di fronte ad una nuova alienazione: chi produceva merce(spettacolo) destinata a circolare, era costretto a usufruire di nuovo di questa stessa merce simbolica, le griffes, la televisione, tutto ciò che viene prodotto ma che non vale, e che l'unica opposizione allo spettacolo è il silenzio: un'affermazione molto provocatoria in linea col suo passato di Situazionista.
Coloro che scrivono non sono d'accordo, col fatto che delle forme critiche debbano per forza essere riassorbite con dei parametri dal sistema (che poi è tutto e non è niente): quello che m'interessa è lavorare sulle strutture del testo e m'interessano altri autori che hanno fatto lo stesso facendo entrare nelle loro opere anche le merci: questo discorso è fondamentale perché il lavoro sulla merce in modo ironico, grottesco, cinico, infantile, è esploso in Italia negli anni '90 con Aldo Nove, Tiziano Scarpa con quella che è stata definita "Terza ondata" e col fenomeno del Pulp.
Il rapporto con le merci è spesso tale da rimasticarle così da non essere rimasticati. Come ha fatto Tommaso Ottonieri, in questo libro "L'album Crémisi", da cui ora vi citerò dei brani, e nel suo saggio "La plastica della lingua", dove prende in considerazione soprattutto la narrativa, ma anche la poesia degli anni '90, con una scrittura che è essa stessa ritmica, musicale, a volte preziose, a volte barocca, parte del meccanismo creativo.
Ottonieri faceva parte del Gruppo '93 (che riprendeva quello '63, la Neoavanguardia) cercando di entrare in modo critico nelle forme della contemporaneità anche con dei limiti, in alcuni autori, di un ritorno delle forme chiuse in poesia, quasi un neomanierismo; in altri, come in Tommaso, c'è stata invece un'apertura all'immaginario contemporaneo, all'ipermercato, a nuovo luoghi poetici che oggettivamente anche il poeta oggi frequenta e che comunque segnano la percezione, come esperienze,e non solo un'Arcadia astratta, o un dialogo esclusivamente letterario, come in parte era stata la Neoavanguardia, un discorso metalinguistica del linguaggio, sul significante, che era stato senz'altro interessante e provocatorio ma finiva per chiudere quell'esperienza in una letteratura di ricerca che comunicava soltanto una letteratura di ricerca…
Per tornare all'oggi la grandezza di autori come Aldo Nove è quella di aver aperto nuovi canali di comunicazioni, per diversi tipi di lettori, e a diversi tipi di letture, scrivendo e immaginando diverse fruizioni, diversi luoghi…
Tommaso ha quasi un modo di rapportarsi con le merci alla fase anale/orale, molto infantile, una sorta di regressione che nasconde da una parte il terrore di essere bombardato da ricordi dello Zecchino d'oro, e dall'altra è anche un rimasticamento:

Minstrell'iam girandolìni, gìri-gìri gìri-gìri, e tutt'insieme! e andiam vedere! e-b-auff.
Ci sbriossavam e inquì e inlà, diceam buondì a mammà, ed al bambino, ghìro-gruro. Oh, ci croissand'e tutt'insieme! e andiam sedere! la vita è bèla! e-tu-tt'in'giù-per-tè-ra! - E ahò.
Giròtola girè. Mmmm, regalino per te, bambino. Per te altro regalino. - Mami mami mi compii melendina? - Ettié, ah (mollato un bel ceffone). - (E snòrt.)
(Lucciconi).
[...]
Bliossa mdendina, guàldi la tivvù. Fùlgono le sigle... danno il tuo cartoon... Video-noleggi, stereo-visioni, di-mostraziozioni (prego al reparto adiacente.. .): l'offerta magica cogli anche tu. 'Mmazza a Bubbù. - Si spengono le luci, si rianima il cartone, e tù - non sei più - bambì-i-no! - Tintinna lo scaffale, scodinzola il Milou: in bocca la sua offerta, nutella spalma - e glù. - Prigionieri d'un sogno: - bene, l'agguerrita tribù dei Merendioux già ha circondato ululando il giovane eroe, ben determinato a sottrarre il simpatico capitano Haddock alle loro grinfìe appiccicose, ai campi marmellari, alle famose tende di pastasfoglia, - dove lo sa recluso, probabile vittima dell'ormai prossima merenda delle cinque, - quand' ecco che... "splash splash" - colpito! . .. Tintin giace sepolto in una selva di frecce farcitorie, pasticciose: ora nugato nel cooky-mar dei suoi sogni più golos glassato a guarnizione di suoi ciocco-strati, spiaccicato sul crema & prono, che ne imbottisce, se ne infarcisce, che se ne sforma, che a piena bocca, dìomìo, che schifo. .. - Milou baba che lecca; Merendioux che fanno aù-aù-augh; misera scena! oh infausto dì! (Miguel son siempre mi).


C'è subito da dire di Tommaso il suo lavoro di plastificazione della lingua, il suo lavoro in forma di prosimetro (Componimento misto di prosa e di versi, ndjurij) che si sente anche qui, dove mescola prose e un lavoro sul ritmo molto forte, un ritmo non in senso astratto ma fatto di fenomeni sintagmatici acustici che derivano dallo spot pubblicitario e da andamenti ritmici che arrivano dalla tradizione letteraria colta, come Tommaso ha fatto anche in "Elegia Sanremese", una rilettura in chiave molto colta delle canzoni popolari più tipiche e topiche del Festival di San Remo.
Centrale negli autori di questi ultimi anni è l'aspetto di mischiare la tradizione colta e il pop, dove pop vuol dire tutto: dai manga, alle riviste pornografiche, dal cinema d'autore, ai videoclip, alle pin-up, al transeunte e a ciò che resta.
Da una parte è interessante utilizzare dei nomi, delle immagini, come delle icone transeunti, da consumare sapendo che quella citazione scadrà molto presto; dall'altra è un modo di fare entrare la realtà, una sorta di "realismo", nella letteratura, passando per dei luoghi non tipici della letteratura: in questo è stato maestro il filosofo e pensatore Walter Benjamin, dando il là in maniera molto colta, diversa dagli autori, che stiamo citando, ad un'idea, un'immagine della realtà, che passa per delle porzioni, non cerca la sistema(tizza)zione totale, usando frammenti, rovine e soprattutto l'architettura e lo spazio urbano… Aveva osservato alcune trasformazioni di Parigi, dei passages, le gallerie che ci sono anche a Torino, fermandosi ad osservare dei dettagli, dei nuovi negozi, e pensando che quella è la realtà che le persone vivono, vedono e dalla quale sono colpiti e immaginando lo spazio urbano come ambiente, affermando così che l'ambiente non è solo lo scenario naturale, non è unica fonte d'ispirazione e di dialogo, ma qualsiasi ambiente come struttura architettonica, che viene poi modellizzato: dal bambino che ripete in loop la sigla del suo cartone animato, ad alcune introiezioni di spazi urbani, quali la discoteca all'Auchan: io penso che se Benjamin fosse vissuto oggi avrebbe scritto dell'Auchan, che è un luogo dove avvengono molte cose su diversi piani: emotivo, commerciale, economico e d è uno spazio molto connotato, la cui frequentazione struttura tanto quanto lo sono stati i luoghi della produzione pesante, dell'industria.
Mi vengono in mente due altri autori contemporanei che sono Giuseppe Caliceti e Stefano Raspini, poeta e grande dicitore di versi: Caliceti scrisse il romanzo "Fonderia Italghisa", su una fonderia di Reggio Emilia, trasformata da Raspini in discoteca e Raspini è lo stesso protagonista del romanzo, con lo pseudonimo del Nonno: questo esempio per dire come dal Nord al Sud, ci sono luoghi topici, che vengono riusati, e che sono altamente strutturanti dell'immaginario, anche collettivo.
Buona parte dell'immaginario degli scrittori che leggiamo oggi è affascinato dalle strutture e dai movimenti di un certo tipo di economia, di un tempo che era il '900 e che poi ci possono richiamare alla mente il rapporto che avevano le avanguardie storiche, da Duchamp a Boccioni al proto-futurismo, con un modo di percepire la realtà molto veloce ma paradossalmente molto lento sequenziale, proprio del fordismo, che a me personalmente piace indagare anche come un refuso archeologico, qualcosa che non c'è, in un tempo detto compresente o sinestetico, un qualcosa che si dice ma che essendo troppo presente non è ancora diventato mito: per me il fascino di relazionarmi a queste cose demodèes è quasi un fascino liberty, tanto è vero che adesso la Tate Gallery è stata trasferita in un ex centrale elettrica, mentre la Modern è ancora in un edificio vittoriano… (Come a Roma, il polo della Monte Martini, l'ex Mattatoio, l'ex fabbrica di birra Peroni, e a Torino, l'ex Fergat dove ha aperto la Re-Rebaudengo).
Per me l'architettura, le strutture hanno un significato compositivo e ritmico, e la poesia ne ha già qualcosa dentro, non è qualcosa di posticcio, di "musicalità" che viene messo da fuori… come diceva Alfredo Giuliani (ex neoavanguardista), la poesia è vitale, è graffiante se è contemporanea allo spirito del tempo che tu vivi, a meno che non sia un'operazione volontaria di grottesco, o di riciclaggio… e ho visto che sicuramente alcuni ritmi anche architettonici sono entrati dentro e alla mia poesia smantellando le strutture tradizionali della metrica sillabica e in questo è stato molto importante il lavoro che fece Amelia Rosselli.
Amelia Rosselli, figlia di Carlo, il partigiano che fu ucciso insieme al fratello in Francia, visse negli ultimi anni a Roma, dove morì suicida nel '97, ma era trilingue e aveva vissuto anche in Inghilterra, in Francia e negli Stati Uniti. Nel suo saggio "Spazi Metrici" teorizzava un lavoro sul linguaggio e sulla metrica, diverso dalla metrica sillabica, che è quella che si utilizza scrivendo in versi endecasillabi, settenari, per avere un certo effetto: ad esempio Montale era fissato con gli sdruccioli, i versi ritratti, probabilmente perché era stitico lui, o pensiamo al decasillabo Manzoniano ("S'ode a destra uno squillo di trombe/ A sinistra risponde uno squillo", che è molto da marcetta popolare: anche sui versi tradizionali si possono ottenere determinati effetti, che sono però ritmi molto standardizzati. Amelia Rosselli diceva un po' saussurrianamente che il nastro linguistico non andava tagliato necessariamente in quel luogo, come nel gioco (ecolalico, ndjurij) di ripetere sempre una parola finché ripetendola a circolo non cambia significato: questo entra nella genesi delle sue poesie procedimento che si muove per catena fonica, dove a volte una parola chiama l'altra per suggestione fonica, ma tiene il senso, e altre volte sviluppa un discorso con una forza d'immagine e ritmica notevole. Frequentando più lingue, lei teorizzava l'esistenza quasi di un ritmo universale, di quantità che si muovono al di là di ciò che le parole significano…
Da tre anni ho la fortuna di lavorare con Elio Pagliarani, un altro componente della neoavanguardia, che ha scritto anni fa sull' importanza di liberarsi dell'equazione poesia = lirica: sembra una banalità ma per almeno un ventennio c'è stata un'alfabetizzazione poetica sulla base del codice ermetico, della poesia ermetica, che prevedeva un procedimento analogico e strutture che tendevano a chiudere la poesia e a riferirla essenzialmente al soggetto per decrittarla. Il lavoro di Pagliarani e di altri poeti è stato quello di allargare le persone, i punti di vista della poesia oltre la prima persona singolare… ritenendo che tutto il lavoro fatto in narratologia Genette, Propp, Grotowsky, fosse valido anche per la poesia, lavorando sulle strutture del discorso e non solo sul lessico non facendo solo iniezioni di parole prese dalla realtà o "basse", ma cambiando anche struttura introducendo la sintassi parlata: questo hanno fatto i narratori italiani (come hanno fatto gli americani già dagli inizi del '900) degli anni '90 liberandosi da alcune impalcature calviniane, con tutto rispetto per Italo Calvino, nel senso di una letteratura che fosse per forza ben confezionata. Questi narratori hanno fatto un discorso sull'oralità e sulle strutture sintattiche più quotidiane riportando quasi un discorso indiretto libero, cioè i pensieri e il rapporto tra discorso diretto e indiretto in modo più low fi, a bassa definizione, non montato né confezionato.
Le tecniche di montaggio, la ricerca del ritmo e quanto detto finora sono fortemente legati all'idea di stile, che per me è molto importante, e non significa trovarsene uno per non cambiarlo mai e metterlo in banca: lo stile è in movimento ma avere uno stile vuol dire creare una visione, un punto di vista ritmico e/o di montaggio….
Parlavamo stamattina del discorso delle merci e il rischio che io vedo emerso è che si crei una sorta di epigonismo nei confronti di autori, ormai di culto, quali Aldo Nove e gli altri che hanno aperto questa strada… loro hanno sdoganato e va bene, ma… mi veniva in mente questo saggio di Eliot degli anni '20 che si chiamava "Tradizione talento individuale" ed era nella raccolta di saggi "Il bosco sacro" che mi fa affermare che io credo nell'importanza della tradizione, ma nel senso che vi dava Eliot, non di tradizione altrui ma di quella che ti crei te: conquistarsi una tradizione vuol dire riconoscere le cose che ti hanno formato, dal cinema e dalla letteratura, per tenerle a bada; senza il riconoscimento di una tradizione si corre il rischio di essere vittima delle proprie passioni o di alcune influenze che entrano e agiscono come dei virus, a volte positivamente, a volte indebolendo il corpo del testo e del proprio lavoro…

Sparajurij:
in questo discorso non è ammessa l'ingenuità di coscienza, non puoi permetterti di non conoscere certe cose fondamentali per il tuo lavoro etc etc

Sara:
…pensavo anche di nuovo a Benjamin che si era occupato di Beaudelaire che aveva studiato "La filosofia della composizione" di Poe: io non sono una grande fan di Poe, ma è stato storicamente il primo grande autore moderno perché era reader oriented, orientato al lettore, come un editor moderno che pensi di voler fare un determinato prodotto per uno specifico pubblico, e a ritroso lo confeziono in questo modo. Poe spiegava come per ottenere un certo effetto (grottesco, ironico, sublime) si può utilizzare una serie di apparati retorici, a ritroso, per ottenere quell'obiettivo, e non a caso l'altro grande autore moderno europeo, Baudelaire, lo ammirava molto e scrisse scritti simili a Poe sulla folla etc etc.
La modernità del '900 è il momento in cui saltano tutti i generi letterari: pensiamo alla poesia, quella che per noi oggi è la poesia, per secoli è stata considerata come mille generi letterari diversi (la novella in versi, ecc ecc) e anche il romanzo è un prodotto relativamente recente, e considerato scadente rispetto genere poetico dominante...i grandi romanzi non sapevamo d'esser romanzi, poi Bachtin l'ha detto, dal "Satyricon", "L'asino d'oro" e tutta la tradizione che oggi consideriamo originale (d'origine) del romanzo….
Pagliarani, sempre di lui parlo, ha scritto due romanzi in versi, "La ragazza Carla" (1954-57) e "La ballata di Rudi" (1995, con una gestazione quasi ventennale), che io obbligherei a leggere e somministrare nelle scuole, perché decise d'abbattere la distinzione tra lirica e prosa, non solo l'equazione poesia = lirica, bagaglio, valigetta con tutto il kitchume o la banalità del caso, sottoprodotto del simbolismo francese, e quant'altro, ma lavorando anche sulle strutture del discorso… ad esempio la lunghezza del verso…
Pagliarani aveva tradotto Olson, un poeta della NewYork school che lavorò anche con John Cage, il quale teorizzava il progetto In Verso", con una forma di verso più lungo, con delle tonalità diverse, più narrativo, anche se diverso da quello pavesiano, che è molto epico, quasi un esametro, e che è stilisticamente molto omogeneo, come campi "eonomasiologici" e come immaginario elettivo…
"La ragazza Carla"(1954-57) è secondo me un'opera modernissima, quasi un bildungsroman di questa ragazza che inizia a lavorare, subito il capo ci prova con lei, e fa il suo apprendistato anche erotico, nella Milano alienante del tram e del cemento e negli anni '50 è una cosa nuova, inedita, con inserzioni da altre lingue a tratti epiche, fatte in modo non ludico, e l'idea di strutturare la poesia quasi come un romanzo, che ha tutto al suo interno, la lettera, la canzoncina, che può accogliere dentro forme iconiche come la filastrocca, e forme più sublimi… di registri diversi…
"La ballata di Rudi" (1995, con una gestazione quasi ventennale), sperimenta la tecnica del collage e del montaggio da articoli di giornale, e racconta la storia di questo Aldo e di questo Rudi, che partono nel dopoguerra dalla riviera romagnola e sono animatori turistici, con un'atmosfera felliniana (Pagliarani è romagnolo come Fellini), a tratti onirica e visionaria, a tratti racconta però l'evoluzione dell'Italia da paese agricolo e provinciale, alla proto Milano da bere o alla Roma di via Veneto, con situazioni di gente che inizia a avvicinarsi alla psicanalisi, le prime ragazze ubriache: una specie di epos dell'Italia dal secondo dopoguerra al '95.
Questo per dire che esistono delle strutture poetiche a fisarmonica che riescono ad accogliere e mettere in relazione e dialogo, a volte in frizione, stili, idee, intenzioni e toni diversi… e io prediligo, rileggo e ho fatto miei quei testi con una vena epico-narrativa alla Pound, Eliot, Brecht; testi poetici che, al di là del citazionismo ("La terra desolata" di Eliot è un'accozzaglia di citazioni molto colte, ma che non voleva comunicare questo, come invece certa letteratura italiana che recuperando la forma chiusa voleva rivendicare un aspetto ancora artigianale della poesia), vogliono con questo creare un certo effetto: Eliot inserisce alto e basso, cita Shakespeare piuttosto che Dante, ma rifunzionalizzandoli… è la stessa "filosofia della storia" di Pound e colleghi, per i quali, c'era un metodo mitico: il presente è un kaos (dopo la prima guerra, per certe cose peggio dela seconda), la filosofia dev'essere relazionale, a frammenti, con l'idea di un '900 che cerca di creare una nuova epica mettendo insieme miti… ed è diventato dopo il post-moderno, ma più freddo e meno esistenzialmente gravido di ansia.

Sparajurij:
Nicola Signorile notò a Ricercare, sulla poesia della Ventroni, che si trattava di Scrittura ingegneristica e di poesie post-umane, in riferimento ai Salmi, Sara è d'accordo?

Sara:
Sì, sì… uno dei miei lavori in cui ho più sentito ci fosse unità di visione è "Nel gasometro", spazio per me affascinante già da tempo, dovunque vado li fotografo… mi son resa conto che era un'immagine che non riuscivo a esaurire, forse perché è vuota, sicuramente legata ad altri spazi di cui abbiamo parlato finora… e avevo nel gasometro la visione di figure come manichini o astronauti, che fanno dei movimenti molto meccanici… e da questa visione ho composto un intro e 4 trittici, con un linguaggio e una spaziatura particolare, e alla fine, siccome il linguaggio stava diventando troppo a lamiera chiusa, ho avuto l'esigenza di farci entrare la cosa vista da fuori, con più porzioni di realtà, immaginando una coppia che fa l'amore in indiretto libero… il gasometro ispira un movimento lento, un'austerità che è assenza di forza gravitazionale, un armamento, un prodotto di arma, di attacco e difesa urbana… correlativo oggettivo del cranio…per ricitare Eliot, che tra l'altro parlava della "distinzione della personalità", diceva di alienarsi, anche se scegli una posa che ti assomiglia, stilisticamente devi estinguerti come persona biologica, per diventare qualcos'altro… …c'era un mio verso: "La vita urbana addosso come un'armatura", nel senso che ci è quasi cucita addosso come quelle medievali, che si muove ma è di ferro e ti deve proteggere, in opposizione allo scenario naturalistico, che mi appartiene più biograficamente che non poeticamente… noi uomini siamo natura biologica, ma tendo a tenere un rapporto contiguo tra il funzionamento del cervello che diventa per estensione tutto, io parto da quello e poi scendo e in questo sono poco Rosaria Lo Rosso, che è più concreta, viva in carne e ossa…
Per post-umano s'intende sia il concetto di cyborg, d'armatura, d'immaginario dove s'integrano uomo e macchina, ma anche post-umanistico, dove non c'è l'humanitas al centro di tutto con i suoi saperi…

Scudo:
Tu sei credente?

Sara:
Colleziono e leggo la Bibbia, una passione antica, venutami per filologia perché ero curiosa di capire quando si era formato il canone, cattolico ed ebraico, i vangeli apocrifi (testi che erano letti prima della formazione del canone), Gnostici, trovati in Egitto in Copto, i salmi sapienzali, Jona, con poi i riferimenti a Melville ecc
E c'è stata anche una specie di confluenza tra un aspetto pop musicale, che era appunto la musica dei CCCP, che ha formato la mia tenera adolescenza e la forma dei salmi, che venivano più che letti cantati, nella tradizione ebraica,e infatti sono scritti in modo particolare da una coppia di strofe, che permetteva di pronunciarli in modo accentuati e alcune cose che ha fatto Giovanni Lindo Ferretti, prendendo dalle Sure o dalla tradizione cattolica, erano proprio liturgiche e si capiva che aveva letto i testi, con questa brevità, incisività, visione e questo soggetto collettivo di un noi che richiede a qualcuno: c'è un rapporto noi/tu, messo in versi, con una forza notevole, scrivendo collocandosi in un noi e rapportarsi ad un'alterità, che nei miei Salmi, è quasi esclusivamente architettonica, un noi creato sulla base di vie percorsi urbani, dove non è detto che ci sia qualcosa sopra il cielo… ("Questo cielo d'amianto che non lascia scampo" era un verso da "La ragazza Carla" di Pagliarani)…
Quando ho visto questa vostra cosa .noibimbiatomici, sono rimasta colpita perché nell'infanzia sono rimasta segnata dalla cosa di Cernobyl, segnata dall'idea che puoi essere inquinato e non lo vedi, come per la pioggia e l'insalata che non potevi comprare… e c'è anche l'idea dell'inquinamento tra persone, col solo frequentarsi… e chi ti lascia scorie poi ti deve lasciar tempo necessario a smaltire,
è un rapporto inquinante può essere metaforizzato con la scia della lumaca che ti lascia addosso…

Un brano da Nel Gasometro di Sara Ventroni
qui

Incontro con e storia di Pagliarani
qui

Biografia e testi essenziali di Eliot
qui


Dear Sara
ho avuto la chance di trovare un book che ha sciolto certi interrogativi che ci ponevamo sull'origine del termine posthuman, esta composizione di fogliame colorato si appella "Art at the turn of the millennium", Taschen, 1999. Anche in edizione italiana bilingue. Il glossario recita
POST HUMAN: Complesso di tematiche nelle quali l'influenza delle nuove tecnologie, quali i computer, l'ingegneria genetica etc. e della società mediatica sul corpo umano è al centro del proposito artistico. Questo concetto risale al titolo "Post Human" di una mostra organizzata da Jeffrey Deitch nel 1992.
Lo stesso glossario chiarisce anche altre espressioni come MEMENTO MORI, il che fa calare sul tutto una certa aria monacale, tra l'altro oggi sulla stampa c'era un'intervista alle Carmelitane Scalze di Moncalieri, località che secondo Zeno avrebbe dato i natali al mio Moncler che vorrei chiarire pubblicamente essere imbottito di piumaggio di oche del Campidoglio. Esse mi proteggono dagli attacchi dei saraceni di San Salvario.
A presto
M&SJ


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